Angelo Custode: il vero ruolo di queste creature donate a noi da Dio

Che ogni anima individuale abbia un angelo custode non è mai stata definita dalla Chiesa e, di conseguenza, non è un articolo di fede; ma è la “mente della Chiesa”, come diceva San Girolamo: “quanto è grande la dignità dell’anima, poiché ognuno ha dalla sua nascita un angelo incaricato di custodirlo”. (Comm. In Matt., Xviii, lib. II). Questa credenza negli angeli custodi può essere rintracciata in tutta l’antichità; pagani, come Menandro e Plutarco (cfr Euseb., “Praep. Evang.”, xii), e neoplatonici, come Plotino, lo sostenevano. Era anche la credenza dei Babilonesi e degli Assiri, come testimoniano i loro monumenti, poiché una figura di un angelo custode ora nel British Museum un tempo decorava un palazzo assiro, e potrebbe ben servire per una rappresentazione moderna; mentre Nabopolassar, padre di Nabucodonosor il Grande, dice: “Lui (Marduk) ha inviato una divinità tutelare (cherubino) di grazia per andare al mio fianco; in tutto ciò che ho fatto, ha fatto il mio lavoro per avere successo. “Nella Bibbia questa dottrina è chiaramente distinguibile e il suo sviluppo è ben marcato. In Gen., xviii-xix, gli angeli non solo agiscono come esecutori dell’ira di Dio contro le città della pianura, ma liberano Lot dal pericolo; in Es., xii-xiii, un angelo è il capo designato dell’ostia di Israele, e in xxxii, 34, Dio dice a Mosè: “Il mio angelo andrà davanti a te”.

In un periodo molto successivo abbiamo la storia di Tobias, che potrebbe servire come un commento sulle parole di Ps., Xc, 11: “Per lui ha dato i suoi angeli carica su di te; per tenerti in tutte le tue vie “. (Cfr. Ps., XXIII, 8; e xxxiv, 5.) Infine, in Dan., x, gli angeli sono affidati alla cura di particolari distretti; uno è chiamato “principe del regno dei Persiani”, e Michele è definito “uno dei principi principali”; cf. Dt., XXIII, 8 (settembre); e Ecclus., Xvii, 17 (settembre).

Questo riassume la dottrina dell’Antico Testamento sul punto; è chiaro che l’Antico Testamento concepiva gli angeli di Dio come i suoi ministri che eseguivano i suoi incarichi e che a volte ricevevano incarichi speciali per quanto riguarda gli uomini e gli affari terreni. Non c’è un insegnamento speciale; la dottrina è piuttosto data per scontata che espressamente prevista; cf. II Mach., Iii, 25; x, 29; xi, 6; XV, 23. Ma nel Nuovo Testamento la dottrina è espressa con maggiore precisione. Gli angeli sono ovunque gli intermediari tra Dio e l’uomo; e Cristo fissò un sigillo sull’insegnamento dell’Antico Testamento: “Vedi che non disprezzi nessuno di questi piccoli: perché io ti dico che i loro angeli in cielo vedono sempre il volto del Padre mio che è nei cieli”. (Matt. , x; iii, 10). Un duplice aspetto della dottrina è qui messo davanti a noi: anche i bambini piccoli hanno angeli custodi, e questi stessi angeli non perdono la visione di Dio per il fatto che hanno una missione da compiere sulla terra. Senza soffermarsi sui vari passaggi del NT in cui viene suggerita la dottrina degli angeli custodi, potrebbe essere sufficiente menzionare l’angelo che ha soccorso Cristo nel giardino e l’angelo che ha liberato San Pietro dalla prigione. Ebr., I, 14, pone la dottrina nella sua luce più chiara: “Non sono tutti gli spiriti ministri, inviati a servire per loro, chi riceverà l’eredità della salvezza?” Questa è la funzione degli angeli custodi; devono guidarci, se lo vogliamo, al Regno dei Cieli. San Tommaso ci insegna (Summa Theol., I, Q. cxiii, a.4) che solo gli ordini inferiori degli angeli sono inviati agli uomini, e di conseguenza che essi soli sono i nostri guardiani, sebbene Scoto e Durandus preferiscano dire che qualcuno dei membri dell’ospite angelico può essere inviato per eseguire i comandi Divini. Non solo i battezzati, ma ogni anima che viene nel mondo riceve uno spirito guardiano; San Basilio, tuttavia (Hom. On Ps. Xliii), e forse San Crisostomo (Corno III su Ep. A Col.) avrebbe ritenuto che solo i cristiani erano così privilegiati. I nostri angeli custodi possono agire sui nostri sensi (I, Q. cxi, a.4) e sulla nostra immaginazione (ibid., A 3), non, tuttavia, sulla nostra volontà, eccetto “per modum suadentis”, vale a dire. lavorando sul nostro intelletto, e quindi sulla nostra volontà, attraverso i sensi e l’immaginazione. (I, Q. cvi, a. 2; e cxi, a. 2). Infine, essi non sono separati da noi dopo la nostra morte, ma rimangono con noi in cielo, non, tuttavia, per aiutarci a raggiungere la salvezza, ma “ad aliquam illustrationem” (Q. cviii, a, 7, ad 3 am).