Bruno Cornacchiola e la bella Signora delle tre fontane

 

LA BELLA SIGNORA DELLE TRE FONTANE
Storia della Vergine della Rivelazione

PARTE PRIMA

1.

QUEL TRENO PERSO

C’è sempre una preparazione, un qualcosa che preannuncia la visita di Maria santissima in forma visibile su questa terra. Anche se questa preparazione non viene percepita tutte le volte immediatamente, la si riscontra poi con l’andare del tempo. Non sempre è un angelo, come avvenne a Fatima; molto spesso si tratta di avvenimenti, grandi o piccoli. E’ sempre un qualcosa che, come un aratro, smuove il terreno. Pensiamo che un qualcosa del genere sia avvenuto anche a Roma, prima che la Madonna si presentasse ai bambini e poi allo stesso Bruno Cornacchiola, alle Tre Fontane. Niente di sensazionale, ma nei disegni divini il sensazionale e il normale hanno lo stesso valore. Anzi, la preferenza va a ciò che si innesta meglio sull’ordinarietà, perché l’opera di Dio non è ingigantita o sminuita dall’entità delle circostanze. Ecco una di queste circostanze. Roma, 17 marzo 1947. Poco dopo le 14, padre Bonaventura Mariani dei frati minori viene chiamato dalla portineria del Collegio S. Antonio in via Merulana 124. C’è una signora che con tono concitato lo sollecita a recarsi nel suo appartamento di via Merulana, perché dice che «c’è il diavolo», più concretamente, ci sono alcuni protestanti che lo stanno aspettando. Il frate scende e la signora Linda Mancini gli spiega che era riuscita a organizzare un dibattito con loro sulla religione. Infatti quelli da un po’ di tempo stavano svolgendo una intensa propaganda nel suo palazzo, specialmente ad opera di uno di essi, un certo Bruno Cornacchiola, ottenendo la conversione di alcuni coinquilini che avevano già deciso di non fare battezzare i loro bambini. Amareggiata per quanto stava accadendo e non riuscendo a tenere testa alle loro argomentazioni, la signora Mancini si era rivolta ai francescani del Collegio S. Antonio. «Venga subito», scongiurava la donna, «altrimenti i protestanti diranno che voi avete paura di battervi con loro…» Per la verità, la cosa non era stata combinata all’ultimo minuto. Era già stato preavvisato un altro francescano, che però all’ultimo momento, per ragioni personali, aveva declinato l’invito e aveva suggerito di rivolgersi a padre Bonaventura. Naturalmente questi obietta che, preso così alla sprovvista, non si sente preparato per quel dibattito e, per di più, è stanco per le lezioni tenute in mattinata alla Facoltà di Propaganda Fide. Ma di fronte alle accorate insistenze della signora, si rassegna ad accettare l’invito. Giunto nella stanza del dibattito, padre Bonaventura si trova di fronte a un pastore protestante della setta degli «Avventisti del settimo giorno», circondato da un gruppetto della stessa religione, fra cui Bruno Cornacchiola. Dopo una preghiera silenziosa, comincia il dibattito. Si sa che, di solito, questi incontri diventano subito «scontri» e si esauriscono in uno scambio di accuse e controaccuse, senza che una parte riesca a convincere l’altra, datro che ognuno parte dall’assoluta certezza di trovarsi nel giusto. Cornacchiola si distingue subito per interventi aggressivi, basati più sugli insulti che sulle argomentazioni, come questo: «Voi siete artisti ed astuti; studiate per ingannare gli ignoranti, ma con noi che conosciamo la Parola di Dio non potete fare nulla. Avete inventato tante stupide idolatrie e interpretate la Bibbia a modo vostro!». E direttamente al frate: «Caro furbacchione, sei svelto a trovare le scappatoie!…». E così il dibattito si protrae per quasi quattro ore, finché viene deciso che è tempo di separarsi. Mentre tutti si alzano per andarsene, le signore presenti al dibattito dicono a Cornacchiola: «Tu non sei tranquillo! Si vede dallo sguardo». E lui di rimando: «Sì invece: io sono felice da quando ho abbandonato la Chiesa cattolica!». Ma le signore insistono: «Rivolgiti alla Madonna. Lei ti salverà! », e gli mostrano il rosario. «Questo ti salverà! Ed ecco che ventun giorni dopo Cornacchiola sta sì pensando alla Madonna, ma non tanto per «rivolgersi a lei», quanto per combatterla e cercare di sminuirla il più possibile, cercando addirittura nella stessa Bibbia le argomentazioni per farlo. Ma chi era questo Bruno Cornacchiola? E soprattutto qual era la storia della sua vita e perché era diventato così accanito contro la Madonna? Pensiamo sia molto utile conoscere tutto questo per comprendere meglio l’ambito e i retroscena su cui si innesta il messaggio dell’apparizione. Sappiamo che la Madonna non sceglie mai a caso: né il veggente, né il luogo, né il momento. Tutto fa parte del mosaico dell’avvenimento. E lo stesso Bruno che racconta. Noi riassumiamo. Nasce nel 1913 sulla Cassia Vecchia, in una stalla, a causa della grande povertà in cui versano i suoi genitori. Alla sua nascita il padre è in prigione a Regina Coeli e quando esce con la moglie porta il bambino a battezzare nella chiesa di S. Agnese. Alla rituale domanda del sacerdote: «Che nome gli volete mettere?», il papà, ubriaco, risponde: «Giordano Bruno, come quello che avete ammazzato voi a Campo dei Fiori!». La risposta del sacerdote è prevedibile: «No, con questo spirito non è possibile!>> Si accordano allora che il bambino si chiamerà soltanto Bruno. I genitori sono analfabeti e vivono in miseria. Vanno ad abitare in una casa vicino all’agglomerato di baracche dove si ritrovavano tutti quelli che uscivano dalle carceri e le donne di strada. Bruno cresce in questa «schiuma di Roma», senza religione, perché Dio, Cristo, la Madonna erano conosciuti soltanto come bestemmie e i bambini crescevano pensando che questi nomi indicassero porci, cani o asini. In casa Cornacchiola la vita era piena di liti, bastonate e bestemmie. I bambini più grandi, per poter dormire la notte, uscivano di casa. Bruno andava a dormire sulle scale della Basilica di S. Giovanni in Laterano. Una mattina, quando aveva quattordici anni, viene avvicinato da una signora che, dopo averlo invitato a entrare con lei in chiesa, gli parla di messa, di comunione, di cresima, e gli promette la pizza. Il ragazzo la guarda stralunato. Alle domande della signora, meravigliato, risponde: «Beh, a casa, quando papà non è ubriaco si mangia tutti assieme, qualche volta pastasciutta, qualche volta minestra, il brodo, risotto o la zuppa, ma questa cresima e comunione, mamma non l’ha mai cucinata… E poi, cos’è quest’Ave Maria? Cos’è ‘sto Padre nostro?». E così, Bruno, scalzo, malvestito, pieno di pidocchi, infreddolito, viene accompagnato da un frate che cercherà di insegnargli un po’ di catechismo. Dopo una quarantina di giorni la solita signora lo porta in un istituto di suore dove Bruno riceve per la prima volta la comunione. Per la cresima occorreva il padrino: il vescovo chiama il suo servitore e gli fa fare da padrino. Come ricordo gli danno il libretto nero delle Massime eterne e una bella corona del rosario, grossa e nera anch’essa. Bruno ritorna a casa con questi oggetti e con l’incombenza di chiedere perdono alla mamma per i sassi che le aveva tirato e un morso alla mano: «Mamma, il prete mi ha detto alla cresima e comunione che ti dovevo chiedere perdono…». «Ma che cresima e comunione, che perdono!», e dicendo queste parole gli dà uno spintone, facendolo cadere per le scale. Bruno allora lancia alla mamma il libretto e la corona del rosario e se ne va di casa, a Rieti. Qui rimane per un anno e mezzo con un suo zio, facendo tutti quei lavoretti che gli offrivano. Poi lo zio lo riporta dai genitori che nel frattempo si erano traslocati al Quadraro. Due anni dopo, Bruno riceve la cartolina precetto per il servizio militare. Ha ormai vent’anni, è senza istruzione, senza lavoro e per presentarsi in caserma si procura un paio di scarpe negli scarichi delle immondizie. Per legacci un filo di ferro. Viene mandato a Ravenna. Non aveva mai avuto tanto da mangiare e da vestire come da militare, e lui si dava da fare per farsi strada, accettando di compiere tutto ciò che gli veniva richiesto e partecipando a tutte le gare. Eccelle soprattutto nel «tiro a segno», per cui viene mandato a Roma per una gara nazionale: vince la medaglia d’argento. Al termine del servizio militare nel 1936, Bruno si sposa con una ragazza che aveva già conosciuto quando era ancora bambina. Conflitto per le nozze: lui vuole sposarsi solo civilmente. Era infatti diventato comunista e non voleva avere a che fare con la Chiesa. Lei invece voleva celebrare il matrimonio religioso. Giungono a un compromesso: «Va bene, vuol dire che domandiamo al parroco se ci vuole sposare in sacrestia, però non mi deve chiedere né confessione, né comunione, né messa». Questa è la condizione posta da Bruno. E così avviene. Dopo il matrimonio caricano le loro poche cose in una carriola e vanno ad abitare in una baracca. Bruno ora è deciso a cambiare vita. Stringe rapporti con i compagni comunisti del Partito d’Azione che lo convincono ad arruolarsi come radiotelegrafista volontario all’OMS, sigla usata per indicare l’Operazione Militare in Spagna. Siamo nel 1936. Viene accettato e in dicembre parte per la Spagna dove infierisce la guerra civile. Naturalmente le truppe italiane si schierano dalla parte di Franco e i suoi alleati. Bruno, infiltrato comunista, ha ricevuto dal partito il compito di sabotare motori e altro materiale in dotazione alle truppe italiane. A Saragozza è incuriosito da un tedesco che aveva sempre un libro sotto il braccio. In spagnolo gli chiede: «Perché porti sempre questo libro sotto il braccio?». «Ma non è un libro, è la sacra Scrittura, è la Bibbia», fu la risposta. Così, discorrendo, i due giungono vicino alla piazza antistante il santuario della Vergine del Pilar. Bruno invita il tedesco a entrare con lui. Quegli rifiuta energicamente: «Guarda che io in quella sinagoga di Satana non ci sono mai andato. Io non sono cattolico. A Roma c’è il nostro nemico». «Il nemico a Roma?», domanda incuriosito Bruno. «E dimmi chi è, così se io lo incontro, lo ammazzo». «È il papa che sta a Roma». Si lasciano, ma in Bruno, che già era avverso alla Chiesa cattolica, era aumentato l’odio contro di essa e contro tutto ciò che la riguardava. Così, nel 1938, mentre si trova a Toledo, compra un pugnale e sulla lama incide: «A morte il papa!». Nel 1939, terminata la guerra, Bruno ritorna a Roma e trova lavoro come uomo delle pulizie all’ATAC, la società che gestisce i mezzi di trasporto pubblici di Roma. In seguito, dopo un concorso, diventa bigliettaio. Risale a questo periodo il suo incontro prima con i protestanti «Battisti», e poi con gli « Avventisti del settimo giorno». Questi lo istruiscono per bene e Bruno viene fatto direttore della gioventù missionaria avventista di Roma e del Lazio. Ma Bruno continua a lavorare anche con i compagni del Partito d’Azione e in seguito nella lotta clandestina contro i tedeschi durante l’occupazione. Si adopera anche per salvare gli ebrei braccati. Con l’arrivo degli americani comincia la libertà politica e religiosa. Bruno si distingue per il suo impegno e fervore contro la Chiesa, la Vergine, il papa. Non perde occasione di fare tutti i possibili dispetti ai preti, facendoli cadere sui mezzi pubblici e rubando loro la borsa. Il 12 aprile 1947, come direttore della gioventù missionaria, dalla sua setta riceve l’incarico di prepararsi per parlare in Piazza della Croce Rossa. Il tema è a sua scelta, basta che sia contro la Chiesa, l’Eucaristia, la Madonna e contro il papa, ovviamente. Per questo discorso molto impegnativo da tenersi in luogo pubblico occorreva prepararsi bene, per cui occorreva un luogo tranquillo e la sua casa era il luogo meno indicato. Allora Bruno propone alla moglie: «Andiamo a Ostia tutti quanti e lì possiamo stare tranquilli; io mi preparo il discorso per la festa della Croce Rossa e voi vi divertirete». Ma la moglie non si sente bene: «No, io non posso venire… Portaci i bambini». È un sabato quel 12 aprile 1947. Pranzano in fretta e verso le 14 papà Bruno parte con i suoi tre bambini: Isola, di undici anni, Carlo di sette e Gianfranco di quattro. Giungono alla stazione Ostiense: proprio in quel momento stava partendo il treno per Ostia. La delusione è grande. Attendere il prossimo treno significa perdere tempo prezioso e le giornate non sono ancora lunghe. «Beh, pazienza», cerca di rimediare Bruno per superare il momento di sconforto suo e dei bambini, «è andato via il treno. Io vi avevo promesso di andare a Ostia… Vorrà dire che adesso… andremo in un altro posto. Prendiamo il tram, andiamo a S. Paolo e lì prendiamo il 223 per andare fuori Roma». Non potevano infatti aspettare un altro treno, perché a quei tempi, essendo stata bombardata la linea, c’era un treno solo che faceva la spola tra Roma e Ostia. Il che voleva dire dover aspettare più di un’ora… Prima di uscire dalla stazione, papà Bruno compra un giornalino per i bambini: si trattava del Pupazzetto. Quando giungono vicino alle Tre Fontane, Bruno dice ai bambini: «Scendiamo qua perché anche qui ci sono gli alberi e andiamo su dove ci sono i padri trappisti che danno il cioccolato». «Sì, sì», esclama Carlo, «allora andiamo a mangiare il cioccolato!». «Pure a me ‘a sottolata», ripete il piccolino Gianfranco, che per la sua età smozzica ancora le parole. Così i bambini corrono felici lungo il viale che conduce all’abbazia dei padri trappisti. Giunti al vetusto arco medievale, detto di Carlo Magno, si fermano davanti al negozietto dove si vendono libri religiosi, guide storiche, corone, immagini, medaglie… e soprattutto l’ottimo « Cioccolato di Roma», prodotto dai padri trappisti delle Frattocchie e il liquore di eucalipto distillato nella stessa abbazia delle Tre Fontane. Bruno acquista tre piccole tavolette di cioccolato per i piccoli, che generosamente ne conservano un pezzettino, avvolto nella carta stagnola, per la mamma rimasta a casa. Dopo di che i quattro riprendono il cammino su un viottolo ripido che li porta al boschetto di eucalipti che sorge proprio davanti al monastero. Papà Bruno non era nuovo di quel luogo. Lo aveva frequentato da ragazzo quando, mezzo vagabondo e mezzo abbandonato dai suoi, vi si rifugiava qualche volta per passarvi la notte in qualche grotta scavata nella pozzolana di quel terreno vulcanico. Si fermano alla prima graziosa radura che incontrano, un centinaio di metri dalla strada. «Come è bello qui!», esclamano i bambini, che vivono in uno scantinato. Hanno portato la palla con la quale avrebbero dovuto giocare sulla spiaggia di Ostia. Va benissimo anche qui. C’è anche una piccola grotta e i bambini cercano di entrare subito all’interno, ma il papà lo proibisce loro energicamente. Da ciò che aveva visto per terra si era infatti reso subito conto che anche quell’anfratto era divenuto luogo di convegno delle truppe alleate… Bruno consegna la palla ai bambini perché giochino mentre lui si siede sopra un masso con la Bibbia, quella famosa Bibbia su cui aveva scritto di suo pugno: «Questa sarà la morte della Chiesa cattolica, con il papa in testa!». Con la Bibbia aveva portato anche un taccuino e una matita per prendere appunti. Comincia la ricerca dei versetti che gli sembrano più appropriati per confutare i dogmi della Chiesa, specialmente quelli mariani dell’Immacolata, dell’Assunzione e della Maternità divina. Mentre inizia a scrivere, giungono i bambini trafelati: «Papà, abbiamo perso la palla». «Dove l’avete tirata?». «Dentro i cespugli». «Andate a cercarla!». I bambini vanno e ritornano: «Papà, eccola la palla, l’abbiamo trovata». Allora Bruno, prevedendo di essere interrotto in continuazione nella sua ricerca, dice ai figli: «Beh, sentite, vi insegno io un gioco, però non mi disturbate più, perché devo prepararmi questo discorso». Così dicendo, prende la palla e la tira in direzione di Isola che aveva le spalle rivolte verso la scarpata da dove erano saliti. Ma la palla, invece di raggiungere Isola, come se avesse un paio di ali, vola sopra gli alberi e scende verso la strada dove passa l’autobus. «Stavolta l’ho persa io», dice il papà; «andate a cercarla». Tutti e tre i bambini scendono alla ricerca. Bruno riprende anche lui la sua «ricerca», con passione e acredine. Di carattere violento, inclinato alla controversia perché litigioso per natura e forgiato così dalle vicende della sua giovinezza, aveva riversato questi atteggiamenti nell’attività della sua setta, cercando di procurare il maggior numero di proseliti alla sua «nuova fede». Amante delle disquisizioni, di parola abbastanza facile, autodidatta, non cessava di predicare, di confutare e di convincere, scagliandosi con particolare ferocia contro la Chiesa di Roma, contro la Madonna e il papa, a tal punto che riuscì ad attirare alla sua setta non pochi suoi colleghi tranvieri. Per la sua puntigliosa serietà, Bruno si preparava sempre prima di ogni discorso in pubblico. Da qui anche il suo successo. Al mattino di quel giorno aveva assistito regolarmente al culto «avventista» nel tempio protestante, dove era uno dei fedeli più assidui. Alla lettura-commento del sabato, si era particolarmente caricato per attaccare la «Grande Babilonia», come era chiamata la Chiesa di Roma che, secondo loro, osava insegnare errori madornali e assurdità su Maria, ritenendola Immacolata, sempre Vergine e perfino Madre di Dio. Tutte cose che, secondo loro, la Rivelazione non dice.

2.

LA BELLA SIGNORA!

Seduto all’ombra di un eucaliptus, Bruno cerca di concentrarsi, ma non fa in tempo a mettere per iscritto qualche nota che i bambini ritornano alla carica: «Papà, papà, non possiamo trovare la palla che si è persa, perché lì ci sono molti spini e noi siamo scalzi e ci facciamo male…». «Ma non siete buoni a nulla! Vado io», risponde papà un po’ scocciato. Ma non prima di usare una misura precauzionale. Infatti fa sedere il piccolo Gianfranco sopra il mucchietto dei vestiti e delle scarpe che i bambini si erano tolte perché quel giorno faceva molto caldo. E per farlo stare tranquillo gli mette tra le mani il giornalino perché guardi le figure. Isola intanto, invece di aiutare papà a cercare la palla, vuole andare sopra la grotta a raccogliere un po’ di fiori per la mamma. «Va bene, stai attenta però a Gianfranco che è piccolo e potrebbe farsi male, e non farlo andare vicino alla grotta». «Va bene, ci penso io», lo rassicura Isola. Papà Bruno prende Carlo con sé e i due scendono la scarpata, ma la palla non si trova. Per assicurarsi che il piccolo Gianfranco sia sempre al suo posto, il papà ogni tanto lo chiama e dopo aver ottenuto risposta, scende sempre più giù nella scarpata. La cosa si ripete per tre o quattro volte. Ma quando dopo averlo chiamato non ottiene risposta, preoccupato, Bruno risale di corsa la scarpata con Carlo. Chiama ancora, con voce sempre più forte: «Gianfranco, Gianfranco, dove sei?», ma il piccolo non risponde più e non si trova più nel luogo dove lo aveva lasciato. Sempre più preoccupato, lo cerca fra i cespugli e le rocce, finché l’occhio gli scappa in direzione di una grotta e vi scorge il piccolo inginocchiato sul limitare. «Isola, scendi giù!», grida Bruno. Intanto si avvicina alla grotta: il bambino non solo è inginocchiato ma tiene anche le manine come in atteggiamento di preghiera e guarda verso l’interno, tutto sorridente… Sembra bisbigliare qualche cosa… Si avvicina di più al piccolo e ode distintamente queste parole: «Bella Signora!… Bella Signora!… Bella Signora!…». «Ripeteva queste parole come una preghiera, un canto, una lode», ricorda testualmente il padre. «Ma che dici, Gianfranco?», gli grida Bruno, «che hai?… che vedi?…». Ma il bimbo, attratto da qualcosa di strano, non risponde, non si scuote, rimane in quell’atteggiamento e con un sorriso incantevole ripete sempre le medesime parole. Giunge Isola con un mazzolino di fiori in mano: «Che vuoi, papà?». Bruno, tra lo stizzito, il meravigliato e lo spaventato, pensa che sia un gioco di bambini, dato che nessuno in casa aveva insegnato al piccolo a pregare, non essendo stato neppure battezzato. Così domanda ad Isola: «Ma gli hai insegnato tu questo gioco della “Bella Signora”?». «No, papà, io non lo conosco ‘sto gioco, non ci ho mai giocato con Gianfranco». «E come mai dice: “Bella Signora”?». «Non lo so, papà: forse qualcuno è entrato dentro la grotta». Così dicendo, Isola scosta i fiori di ginestra che pendevano sull’entrata, guarda dentro, poi si gira: «Papà, non c’è nessuno!», e fa per andarsene, quando improvvisamente si ferma, i fiori le cadono dalle mani e anche lei si mette in ginocchio con le mani giunte, accanto al fratellino. Guarda verso l’interno della grotta e come lui mormora rapita: «Bella Signora!… Bella Signora!…». Papà Bruno, stizzito e sconcertato più che mai, non riesce a spiegarsi il curioso e strano modo di fare dei due, che in ginocchio, incantati, guardano verso l’interno della grotta, ripetendo sempre le stesse parole. Comincia a sospettare che lo stiano prendendo in giro. Allora chiama Carlo che stava ancora cercando la palla: «Carlo, vieni qui. Che fanno Isola e Gianfranco?… Ma che è questo gioco?… Vi eravate messi d’accordo?… Senti, Carlo, è tardi, io devo prepararmi per il discorso di domani, vai pure tu a giocare, basta che non entriate in quella grotta…». Carlo guarda attonito il papà e gli grida: «Papà, io ‘sto gioco non lo so fare!…», e fa per andarsene anche lui, quando si ferma di scatto, si gira verso la grotta, unisce le due mani e si inginocchia vicino ad Isola. Anche lui fissa un punto dentro la grotta e, affascinato, ripete le stesse parole degli altri due… Il papà allora non ne può più e grida: «E no, eh?… Questo è troppo, a me non mi prendete in giro. Basta, alzatevi!». Ma non succede niente. Nessuno dei tre lo ascolta, nessuno si alza. Allora si accosta a Carlo e: «Carlo, alzati!». Ma quello non si muove e continua a ripetere: «Bella Signora!…». Allora, con uno dei soliti scatti d’ira, Bruno prende il bambino per le spalle e cerca di smuoverlo, di rimetterlo in piedi, ma non ci riesce. «Era come di piombo, come se pesasse quintali». E qui la collera comincia a lasciare posto alla paura. Ci riprova, ma con lo stesso risultato. Trepidante, si avvicina alla bambina: «Isola, alzati, e non fare come Carlo!». Ma Isola non risponde neppure. Allora cerca di smuoverla, ma nemmeno con lei ci riesce… Guarda con terrore i visi estatici dei figli, i loro occhi spalancati e lucenti e fa l’ultimo tentativo con il più piccolo, pensando: “Questo riesco ad alzarlo”. Ma anche lui pesa come marmo, «come colonna di pietra incastrata per terra», e non riesce a sollevarlo. Allora esclama: «Ma che cosa succede qui?… Ci sono delle streghe nella grotta oppure qualche diavolo?…». E il suo livore contro la Chiesa cattolica lo porta subito a pensare che sia qualche prete: “Non sarà qualche prete che è entrato dentro la grotta e con l’ipnotismo mi ipnotizza i bambini?”. E grida: «Chiunque tu sia, anche un prete, vieni fuori!». Silenzio assoluto. Allora Bruno entra deciso nella grotta con l’intenzione di prendere a pugni lo strano essere (da militare si era distinto anche come un buon pugile): «Chi c’è qua?», grida. Ma la grotta è assolutamente vuota. Esce e prova ancora ad alzare i bambini con lo stesso risultato di prima. Allora il pover’uomo in preda al panico sale sull’altura per cercare aiuto: «Aiuto, aiuto, venitemi ad aiutare!». Ma non vede nessuno e nessuno deve averlo udito. Ritorna concitato dai bambini che, ancora inginocchiati con le mani giunte, continuano a dire: « Bella Signora!… Bella Signora!…». Si avvicina e cerca di smuoverli… Li chiama: «Carlo, Isola, Gianfranco!…», ma i bambini rimangono immobili. E qui Bruno comincia a piangere: «Che cosa sarà?… che cosa è successo qui?…». E pieno di paura alza gli occhi e le mani al cielo, gridando: «Dio salvaci tu!». Appena proferito questo grido d’aiuto, Bruno vede uscire da dentro la grotta due mani candidissime, trasparenti, che si avvicinano lentamente verso di lui, gli sfiorano gli occhi, facendo cadere da essi come delle squame, come un velo che lo accecava… Sente male… ma poi, all’improvviso i suoi occhi sono invasi da una luce tale che per qualche istante tutto scompare dinanzi a lui, figli, grotta… e si sente leggero, etereo, quasi che il suo spirito fosse stato liberato dalla materia. Nasce dentro di lui una grande gioia, un qualcosa di completamente nuovo. In quello stato di rapimento non ode più nemmeno i bambini ripetere la solita esclamazione. Quando Bruno riprende a vedere dopo quel momento di accecamento luminoso, nota che la grotta si illumina fino a scomparire, ingoiata da quella luce… Si staglia soltanto un blocco di tufo e sopra questo, scalza, la figura di una donna avvolta da un alone di luce dorata, dai tratti di una bellezza celestiale, intraducibile in termini umani. I suoi capelli sono neri, uniti sul capo e appena sporgenti, tanto quanto lo consente il manto di color verde-prato che dal capo le scende lungo i fianchi fino ai piedi. Sotto il manto, una veste candidissima, luminosa, cinta da una fascia rosa che scende a due lembi, alla sua destra. La statura sembra essere media, il colore del viso leggermente bruno, l’età apparente sui venticinque anni. Nella mano destra regge appoggiato al petto un libro non tanto voluminoso, di colore cinerino, mentre la mano sinistra è appoggiata sul libro stesso. Il volto della Bella Signora trasluce un’espressione di benignità materna, soffusa di serena mestizia. «Il mio primo impulso fu quello di parlare, di alzare un grido, ma sentendomi quasi immobilizzato nelle mie facoltà, la voce mi moriva in gola», confiderà il veggente. Nel frattempo in tutta la grotta si era diffuso un soavissimo profumo floreale. E Bruno commenta: «Anch’io mi ritrovai accanto alle mie creature, in ginocchio, con le mani giunte». Riecheggiando la veggente di Lourdes, Bernadette Soubirous, anche lui un giorno si lascerà sfuggire questa affermazione: «Chi ha avuto l’eccezionale gioia di posare gli occhi sopra una così celestiale bellezza, non può fare altro che desiderare la morte per poter godere dì tanta beatitudine in eterno…».

3.

«SONO LA VERGINE DELLA RIVELAZIONE»

A un tratto la Bella Signora incomincia a parlare, dando inizio a una lunga rivelazione. Si presenta immediatamente: «Sono colei che sono nella Trinità divina… Sono la Vergine della Rivelazione… Tu mi perseguiti, ora basta! Entra nell’ovile santo, corte celeste in terra. Il giuramento di Dio è e rimane immutabile: i nove venerdì del Sacro Cuore che tu facesti, amorevolmente spinto dalla tua fedele sposa, prima di iniziare la via dell’errore, ti hanno salvato!». Bruno ricorda che la voce della Bella Signora era «così melodiosa, sembrava una musica che entrava dentro gli orecchi; la sua bellezza nemmeno si può spiegare, la luce, smagliante, qualcosa di straordinario, come se il sole fosse entrato dentro la grotta». La conversazione è lunga; dura un’ora e venti minuti circa. Gli argomenti toccati dalla Madonna sono molteplici. Alcuni riguardano direttamente e personalmente il veggente. Altri riguardano la Chiesa intera, con un particolare riferimento ai sacerdoti. Poi c’è un messaggio da consegnare personalmente al papa. A un certo punto la Madonna muove un braccio, il sinistro, e punta l’indice verso il basso…, indicando qualcosa ai suoi piedi… Bruno segue con l’occhio il gesto e vede per terra un drappo nero, una veste talare da prete e accanto una croce spezzata. «Ecco», spiega la Vergine, «questo è il segno che la Chiesa soffrirà, sarà perseguitata, spezzata; questo e il segno che i miei figli si spoglieranno… Tu, sii forte nella fede!…». La celeste visione non nasconde al veggente che lo attendono giorni di persecuzione e di prove dolorose, ma che lei lo avrebbe difeso con la sua materna protezione. Poi Bruno viene invitato a pregare molto e a far pregare, recitare il rosario quotidiano. E specifica in particolare tre intenzioni: la conversione dei peccatori, degli increduli e per l’unità dei cristiani. E gli rivela il valore delle Ave Maria ripetute nel rosario: «Le Ave Maria che voi dite con fede e con amore sono tante frecce d’oro che raggiungono il Cuore di Gesù». Gli fa una bellissima promessa: «Io convertirò i più ostinati con prodigi che opererò con questa terra di peccato». E per quanto riguarda uno dei suoi celesti privilegi che il veggente combatteva e che ancora non era stato definito solennemente dal Magistero della Chiesa (lo sarà tre anni dopo: il messaggio personale al papa riguardava forse questa proclamazione?…), la Vergine, con semplicità e chiarezza, gli toglie ogni dubbio: «Il mio corpo non poteva marcire e non marci. Mio Figlio e gli angeli mi vennero a prendere al momento del mio trapasso». Con queste parole Maria si presentava anche come Assunta in Cielo in anima e corpo. Ma occorreva dare al veggente la certezza che quella esperienza che stava vivendo e che tanto avrebbe inciso nella sua vita non era una allucinazione o un incantesimo, e tanto meno un inganno di Satana. Per questo gli dice: «Desidero darti una sicura prova della divina realtà che stai vivendo perché tu possa escludere ogni altra motivazione del tuo incontro, compresa quella del nemico infernale, come molti ti vorranno far credere. E questo è il segno: dovrai andare per le chiese e per le vie. Per le chiese al primo sacerdote che incontrerai e per le strade a ogni sacerdote che incontrerai, tu dirai: “Padre, devo parlarle!”. Se costui ti risponderà: “Ave Maria, figliolo, cosa vuoi, pregalo di fermarsi, perché è quello da me scelto. A lui manifesterai ciò che il cuore ti dirà e ubbidiscilo; ti indicherà infatti un altro sacerdote con queste parole: «Quello fa per il caso tuo”». Continuando, la Madonna lo esorta a essere «prudente, ché la scienza rinnegherà Dio», quindi gli detta un messaggio segreto da consegnare personalmente alla «Santità del Padre, supremo pastore della cristianità», accompagnato però da un altro sacerdote che gli dirà: «Bruno, io mi sento legato a te». «Poi la Madonna», riferisce il veggente, «mi parla di ciò che sta avvenendo nel mondo, di quello che succederà nell’avvenire, come va la Chiesa, come va la fede e che gli uomini non crederanno più… Tante cose che si stanno avverando adesso… Ma molte cose si dovranno avverare…». E la celeste Signora lo conforta: «Alcuni a cui tu narrerai questa visione non ti crederanno, ma non lasciarti deprimere». Al termine dell’incontro, la Madonna fa un inchino e dice a Bruno: «Sono colei che sono nella Trinità divina. Sono la Vergine della Rivelazione. Ecco, prima di andare via io ti dico queste parole: la Rivelazione è la Parola di Dio, questa Rivelazione parla di me. Ecco perché ho dato questo titolo: Vergine della Rivelazione». Poi fa alcuni passi, si gira ed entra dentro la parete della grotta. Termina allora quella grande luce e si vede la Vergine che si allontana lentamente. La direzione presa, andando via, è verso la basilica di S. Pietro. Carlo è il primo a riaversi e grida: «Papà, si vede ancora il manto verde, il vestito verde!», ed entrando di corsa nella grotta: «Io la vado a prendere!». Si trova invece a sbattere contro la roccia e comincia a piangere, perché ha urtato le mani contro di essa. Poi tutti riprendono i sensi. Per qualche attimo rimangono sbalorditi e silenziosi. «Povero papà», ha scritto tempo dopo Isola nel suo quaderno di ricordi; «quando la Madonna se ne è andata, era pallido e noi stavamo attorno a lui a chiedergli: “Ma chi era quella Bella Signora? Che ha detto?”. Egli ci ha risposto: “La Madonna! Dopo vi dirò tutto”». Ancora sotto shock, Bruno molto saggiamente domanda separatamente ai bambini, cominciando da Isola: «Tu, cosa hai visto?». La risposta corrisponde esattamente a ciò che ha visto lui. La stessa cosa risponde Carlo. Il più piccolo, Gianfranco, non conoscendo ancora il nome dei colori, dice soltanto che la Signora aveva un libro in mano per fare i compiti e… masticava la gomma americana… Da questa espressione, Bruno si rende conto che lui solo aveva inteso ciò che la Madonna aveva detto, e che i bambini avevano avvertito soltanto il movimento delle labbra. Allora dice loro: «Beh, facciamo una cosa: puliamo dentro la grotta perché quello che abbiamo visto è qualcosa di grande… Però non lo so. Adesso stiamo zitti e puliamo dentro la grotta». È sempre lui che racconta: «Si prendono tutte quelle porcherie e si gettano dentro i cespugli di spine… ed ecco che la palla, andata nella scarpata verso la strada dove si ferma l’autobus 223, improvvisamente riappare dove noi avevamo pulito, dove c’erano tutte quelle porcherie di peccato. La palla è lì, per terra. Io la prendo, la metto sopra quel taccuino dove io avevo scritto i primi appunti, ma non ero riuscito a terminare ogni cosa. «All’improvviso, tutta quella terra che noi abbiamo pulito, tutta quella polvere che abbiamo innalzato, profumava. Che profumo! Tutta la grotta… Toccavi le pareti: profumo; toccavi per terra: profumo; ti allontanavi: profumo. Insomma, ogni cosa lì profumava. Io mi asciugavo gli occhi dalle lacrime che mi scendevano e i bambini contenti, gridavano: “Abbiamo visto la Bella Signora!”». «Beh!… come già vi ho detto, stiamo zitti, per ora non diciamo nulla!», ricorda il papà ai bambini. Poi si siede su un masso fuori dalla grotta e mette per iscritto frettolosamente quanto gli è accaduto, fissa le sue prime impressioni a caldo, ma terminerà a casa il lavoro completo. Ai bambini che lo stanno guardando dice: «Vedete, papà vi ha sempre detto che dentro quel tabernacolo cattolico non c’era Gesù, che era una bugia, un’invenzione dei preti; adesso vi faccio vedere dove sta. Andiamo giù!». Tutti si rimettono i vestiti tolti per il caldo e per giocare e si dirigono verso l’abbazia dei padri trappisti. Ma prima di lasciare la grotta, Bruno toglie di tasca il suo temperino e con quello incide sulla parete esterna queste parole: «In questa grotta, il 12 aprile 1947, la Vergine della Rivelazione è apparsa al protestante Bruno Cornacchiola e ai suoi figli».

4.

QUELL’AVE MARIA DI ISOLA

Il gruppetto scende dalla collina degli eucaliptus ed entra nella chiesa dell’abbazia. Tutti si mettono in ginocchio al primo banco che trovano a destra. Dopo un momento di silenzio, il papà spiega ai bambini: «La Bella Signora della grotta ci ha detto che qui c’è Gesù. Io prima vi insegnavo di non credere a ciò e vi proibivo di pregare. Gesù sta là dentro, in quella casina. Ora vi dico: preghiamo! Adoriamo il Signore!». Interviene Isola: «Papà, già che dici che questa è la verità, che preghiera facciamo?». «Figlia mia, non saprei…». «Diciamo un ‘Ave Maria», riprende la piccola. «Guarda che io l’Ave Maria non me la ricordo». «Ma io sì, papà!». «Come tu? E chi te l’ha insegnata?». «Quando mi mandavi a scuola e mi facevi il biglietto perché lo consegnassi alla maestra e fossi così esentata dall’ora di catechismo, ebbene, la prima volta gliel’ho dato, ma poi non lo feci più perché mi vergognavo, così sono rimasta sempre e allora ho imparato l’Ave Maria». «Ebbene, dilla tu…, piano piano, così pure noi ti veniamo appresso». Allora la bambina inizia: Ave Maria, piena di grazia… E gli altri tre: Ave, Maria, piena di grazia… E così fino all’Amen finale. Dopo di che escono e rifanno il tragitto verso casa. «Mi raccomando, bambini, quando arriviamo a casa, non dite nulla, stiamo zitti, perché prima devo pensarci sopra, devo trovare una cosa che quella Signora, la Bella Signora mi ha detto!», dice Bruno ai figli. «Va bene, papà, va bene», promettono. Ma, scendendo i gradini (perché abitavano nell’interrato) i bambini cominciano a gridare ai loro amici e amichette: «Abbiamo visto la Bella Signora, abbiamo visto la Bella Signora!». Tutti si affacciano, anche la moglie. Bruno, sorpreso, cerca di rimediare: «Su, entriamo dentro… su, su, non è successo niente», e chiude la porta. Di quei momenti il veggente annota: «Ero sempre nervoso… In quel momento cercavo di stare più calmo possibile… Sono sempre stato un tipo manesco, un tipo ribelle e questa volta dovevo ingoiare, dovevo sopportare…». Ma lasciamo raccontare questa scena ad Isola che, in tutta semplicità, scrisse nel suo quaderno: «Appena arrivammo a casa, mamma ci venne incontro e, vedendo papà pallido e commosso, gli domandò: “Bruno, che hai fatto? Che ti è successo?”. Papà, quasi piangendo, disse a noi: “Andate a letto!”, e così mamma ci fece addormentare. Io però fingevo di dormire e vidi papà che si avvicinava a mamma e le diceva: “Abbiamo visto la Madonna, io ti chiedo perdono che ti ho fatto soffrire, Jolanda. Sai dire il rosario?”. E mia madre rispose: “Non lo ricordo bene”, e si inginocchiarono per pregare». Dopo questa descrizione della figlia Isola, ascoltiamo quella del protagonista diretto: «Allora, siccome a mia moglie ne ho fatte tante, perché la tradivo, facevo peccati, la picchiavo, eccetera, pensate che l’11 aprile, pur essendo protestante, non gli si dice: Puoi fare questo, puoi fare quest’altro, questo è peccato, non si dice: Ci sono i dieci comandamenti. Ebbene, quell’11 sera io non avevo dormito a casa, ma avevo passato la notte, diciamo la verità, con l’amica mia… La Vergine poi mi ha dato il pentimento. Allora, ricordando tutte queste cose, mi inginocchio davanti a mia moglie, in cucina, i bambini stavano in camera e inginocchiandomi io, lei pure si inginocchia: “Come?, tu ti inginocchi davanti a me? Io mi sono sempre inginocchiata quando tu mi picchiavi, per dire basta, ti chiedevo perdono di cose che io non avevo fatte”… «Allora io dico: “Adesso ti chiedo perdono di quello che ho fatto, del male, di tutto quello che ti ho fatto contro di te, fisicamente. Io ti chiedo perdono, perché quello che hanno detto i bambini, adesso non diciamo niente, però quello che hanno detto i bambini è vero… Io ti ho insegnato tante cose cattive, ho parlato contro l’Eucaristia, contro la Madonna, contro il papa, contro i sacerdoti e i sacramenti… Ora non so che cosa sia avvenuto…, mi sento cambiato…”». Poi i due si sforzano di ricordare come si recita il rosario (non lo avevano mai recitato) e giungono al mattino.

5.

LA PROMESSA SI AVVERA

Ma da quel giorno la vita di Bruno divenne un’angoscia. Lo sbalordimento causatogli dalla prodigiosa apparizione non accennava a diminuire e lo si notava visibilmente scosso. Era tormentato nell’attesa che si realizzasse quel segno promessogli dalla Vergine come conferma di tutto. Ora non era più protestante, né intendeva mettere più piede nel loro «tempio» e tuttavia non era ancora cattolico, mancandogli l’abiura e la confessione. Per di più, dato che la Madonna gli aveva dato l’ordine di rivolgere la parola ai vari sacerdoti che avrebbe incontrato, sia per strada, sia nella chiesa dove sarebbe entrato, Bruno sul tram, a ogni sacerdote a cui faceva il biglietto diceva: «Padre, devo parlarle». Se quello gli rispondeva: «Che vuoi? Dimmi pure», Bruno gli rispondeva: «No no, ho sbagliato, non è lei… Scusi, sa». Di fronte a questa risposta del bigliettaio, qualche prete rimaneva calmo e se ne andava, ma qualcun altro ribatteva: «Chi vuole prendere in giro?». «Ma guardi che non è una presa in giro: è una cosa che io sento!», cercava di scusarsi Bruno. E questa continua attesa e relativa delusione, per non dire frustrazione, aveva intaccato non solo il morale ma anche la salute del veggente, a tal punto che con il passare dei giorni si sentiva sempre più male e non andava più al lavoro. E la moglie a domandargli: «Ma che ti succede? Stai dimagrendo!». Effettivamente Jolanda aveva notato che i fazzoletti del marito erano pieni di sangue sputato, «dal dolore, dalla sofferenza», spiegherà poi lo stesso Bruno, «perché venivano a casa i “compagni” e mi dicevano: “Ma come, non vieni più a trovarci? Come mai?”». Al che lui rispondeva: «Ho una cosa che… Verrò più tardi». Anche il Pastore si faceva vedere: «Ma come? Non vieni più alla riunione? Come mai, che cosa è successo?». Con pazienza, la solita risposta: «Lasciatemi stare: sto riflettendo su qualche cosa che mi deve avvenire, sto aspettando». Era una attesa snervante che non poteva non insinuare un sottile timore: “E se non fosse stato vero? E se mi fossi sbagliato?”. Ripensava però al modo con cui si era verificato il fatto, ai bambini che anch’essi avevano visto (anzi, prima di lui), al misterioso profumo avvertito da tutti… E poi il cambiamento improvviso della sua vita…: ora riamava quella Chiesa che aveva tradito e tanto combattuta, anzi, non l’aveva amata mai come adesso. Il suo cuore, prima pieno di odio verso la Madonna, ora si inteneriva al ricordo dolcissimo di colei che gli si era presentata come «Vergine della Rivelazione». E si sentiva così misteriosamente attratto verso quella piccola grotta nel boschetto delle Tre Fontane che, appena poteva, ritornava lassù. E lassù percepiva di nuovo l’ondata del profumo misterioso che, in qualche modo, gli rinnovava la dolcezza di quell’incontro con la Vergine. Una sera, qualche giorno dopo quel 12 aprile, si trovava in servizio proprio sull’autobus 223 che passa alle Tre Fontane, vicino al bosco della grotta. Proprio in quel punto l’autobus si guasta e resta immobile sulla strada. In attesa dei soccorsi, Bruno vorrebbe approfittare per correre alla grotta, ma non può abbandonare il mezzo. Vede alcune bambine, le avvicina: «Andate lassù, nella prima grotta: ci sono due grossi sassi, andate a metterci i fiori, perché li è apparsa la Madonna! Su, andate, bambine». Ma il conflitto interiore non accennava a placarsi, finché un giorno la moglie, vedendolo in quello stato pietoso, gli domanda: «Ma dimmi, che cosa c’è?». «Guarda», le risponde Bruno, «sono tanti giorni e adesso siamo al 28 aprile. Dunque sono sedici giorni che io aspetto di incontrare un sacerdote e non lo trovo». «Ma, sei stato in parrocchia? Può darsi che lì lo troverai», lo consiglia la moglie, nella sua semplicità e buonsenso. E Bruno: «No, in parrocchia non ci sono stato». «Ma vai, può darsi che là troverai un sacerdote…». Sappiamo dal veggente stesso perché non era andato prima in parrocchia. Era là infatti che ogni domenica ingaggiava le sue battaglie religiose quando i fedeli uscivano da messa, tanto che i preti lo cacciavano via e lo chiamavano il nemico numero uno della parrocchia. E così, accogliendo il consiglio della moglie, un mattino presto, Bruno esce di casa, traballando a causa del suo malessere, e si porta alla chiesa della sua parrocchia, la chiesa di Ognissanti, sull’Appia Nuova. Si mette vicino alla sacrestia e attende davanti a un grande crocifisso. Ormai all’estremo della esasperazione, il pover’uomo si rivolge al crocifisso che ha di fronte: «Guarda che se non incontro il prete, il primo che sbatto per terra sei tu e ti faccio a pezzi, come ti ho fatto a pezzi prima», e attende. Ma c’era di peggio. L’esasperazione e il deperimento psicofisico di Bruno erano giunti veramente al limite estremo. Infatti prima di uscire di casa aveva preso una decisione terribile. Era andato a scovare il famoso pugnale comperato a Toledo per uccidere il papa, se lo era messo sotto la giacca e aveva detto alla moglie: «Guarda, io vado: se non incontro il sacerdote, se io ritorno e mi vedi con il pugnale in mano, stai pure sicura che muori tu, i bambini e poi mi uccido, perché non ne posso più, perché non posso più vivere così». A dire il vero, quella del suicidio era un’idea che era cominciata a farsi strada ogni giorno di più nella sua mente. Talvolta si sentì spinto perfino a gettarsi sotto un tram… Gli sembrava di essere più malvagio di quando faceva parte della setta dei protestanti… Effettivamente stava per impazzire. Se non era ancora giunto a questo, era perché qualche notte riusciva ad arrivare alla grotta a piangere e a dire alla Vergine che gli venisse in aiuto. Accanto a quel crocifisso Bruno attende. Passa un sacerdote: “Lo interrogo?”, si domanda; Ma qualcosa nel suo interno gli dice che non è quello. E si gira per non farsi vedere. Passa un secondo…,la stessa cosa. Ed ecco che dalla sacrestia esce un giovane sacerdote, piuttosto frettoloso, con la cotta… Bruno sente un impulso interiore, come se fosse spinto verso di lui. Lo prende per la manica della cotta e grida: «Padre, devo parlarle!». «Ave Maria, figliolo, cosa c’è?». Sentendo quelle parole Bruno ha come un sussulto di gioia e dice: «Io aspettavo queste parole che lei mi doveva dire: “Ave Maria, figliolo!”. Ecco, io sono protestante e vorrei farmi cattolico». «Guarda, vedi quel sacerdote dentro la sacrestia?». «Sì, padre». «Vai da lui: quello fa al caso tuo». Quel sacerdote è don Gilberto Carniel, il quale aveva già istruito altri protestanti desiderosi di farsi cattolici. Bruno gli si accosta e gli dice: «Padre, io devo dirle qualcosa che mi è successo…». E si inginocchia davanti a quel sacerdote che qualche anno prima aveva brutalmente cacciato da casa sua in occasione della benedizione pasquale. Don Gilberto ascolta tutto il racconto e poi gli dice: «Adesso devi fare l’abiura e io ti devo preparare». E così il sacerdote cominciò ad andare a casa sua per preparare lui e sua moglie. Bruno, che ha visto realizzarsi in pieno le parole della Vergine, ora è tranquillo e felicissimo. La prima conferma era stata data. Ora mancava la seconda. Vengono fissate le date: il 7 maggio sarà il giorno dell’abiura e l’8 il rientro ufficiale nella Chiesa cattolica, in parrocchia. Ma il martedì 6 maggio Bruno fa di tutto per trovare il tempo per correre alla grotta a invocare l’aiuto della Madonna e forse con il desiderio profondo di rivederla. Si sa, chi ha visto la Madonna una volta, si strugge dal desiderio di vederla ancora… E una nostalgia di cui non ci si libera più per tutta la vita. Giunto lassù, cade in ginocchio nel ricordo e nella preghiera a colei che ventiquattro giorni prima si era degnata di apparirgli. E il prodigio si rinnova. La grotta si illumina di una luce abbagliante e nella luce appare la soave figura celestiale della Madre di Dio. Non dice nulla. Lo guarda soltanto e gli sorride… E quel sorriso è la prova più grande del suo compiacimento. Anche lei è contenta. Ogni parola avrebbe rotto l’incanto di quel sorriso. E con il sorriso della Vergine si trova la forza di compiere qualsiasi passo, in piena sicurezza, costi quello che costi, e ogni timore scompare. Il giorno dopo, nella loro modesta abitazione, Bruno e Jolanda Cornacchiola, confessati i propri peccati, abiurano. Ecco come a distanza di anni il veggente ricorda quella data: «Il giorno 8, proprio il giorno 8 maggio, c’era grande festa in parrocchia. Vi è pure padre Rotondi a fare un discorso dentro la chiesa di Ognissanti e là, dopo che io e mia moglie abbiamo firmato il giorno 7 la pergamena, entriamo finalmente nella Chiesa io, mia moglie e i bambini. Isola fa la cresima perché era già stata battezzata, l’aveva battezzata mia moglie quando io ero in Spagna. Carlo l’ha battezzato di nascosto, ma Gianfranco che aveva quattro anni, riceve il battesimo. Così entra dentro di noi la gioia che io aspettavo».

6.

IL SECONDO SEGNO

Bruno Cornacchiola frequenta ormai abitualmente la chiesa di Ognissanti. Non tutti però sanno del fatto che ha spinto l’ex protestante a ritornare alla Chiesa cattolica, e quei pochi che ne sono a conoscenza sono molto prudenti nel parlarne, per evitare chiacchiere inopportune e false interpretazioni. A uno di questi, don Mario Sfoggia, Bruno si è particolarmente legato e così lo ha messo al corrente dell’avvenimento prodigioso del 12 aprile e della nuova apparizione del 6 maggio. Il sacerdote, benché giovane, è prudente. Si rende conto che non sta a lui decidere se le cose sono vere o se si tratta di allucinazioni. Mantiene il segreto e invita il veggente a pregare molto per avere la grazia di perseverare nella nuova vita e per essere illuminato riguardo ai segni promessi. Un giorno, 21 o 22 maggio, don Mario manifesta a Bruno il desiderio di recarsi anche lui alla grotta: «Senti», gli dice, «io voglio venire con te a recitare il rosario, in quel posto dove tu hai visto la Madonna». «Va bene, ci andiamo il 23, sono libero». E l’invito viene esteso anche a un giovane che frequenta le associazioni cattoliche della parrocchia, Luciano Gatti, che però ignora il fatto della apparizione e il vero motivo di quell’invito. Giunta l’ora dell’appuntamento, Luciano non si fa vedere e allora, presi dall’impazienza, don Mario e Bruno partono senza aspettarlo. Giunti alla grotta, i due si inginocchiano vicino al sasso dove la Madonna aveva appoggiato i piedi e cominciano la recita del rosario. Il sacerdote, pur rispondendo alle Ave Maria, guarda con attenzione l’amico per scrutarne i sentimenti e qualsiasi espressione particolare affiorasse sul suo viso. E venerdì, per cui recitano i «misteri dolorosi». Terminati i quali, don Mario invita il veggente a recitare il rosario intero. Proposta accettata. Al secondo «mistero gaudioso», la Visitazione di Maria a santa Elisabetta, don Mario prega la Madonna nel suo cuore: «Visitateci, illuminateci! Che si sappia la verità, che non siamo ingannati!». Ora è il sacerdote che intona le Ave Maria. Bruno risponde regolarmente alle prime due del mistero della visitazione, ma alla terza non risponde più! Allora don Mario vuole girare il capo verso destra per vederlo meglio e rendersi conto perché non risponda più. Ma mentre sta per farlo, viene investito come da una scarica elettrica che lo immobilizza, rendendolo incapace di ogni minimo movimento… Il cuore è come se gli salisse in gola, dandogli un senso di soffocamento… Sente Bruno che mormora: «Quant’è bella!… Quant’è bella!… Ma è grigio, non è nero…». Don Mario, pur non vedendo nulla, sente una presenza misteriosa. Poi confiderà: «La fisionomia del veggente era calma, il portamento naturale e nessuna traccia si scorgeva in lui di esaltazione o di malattia. Tutto indicava uno spirito lucido in un corpo normale e sano. Qualche volta muoveva leggermente le labbra e dall’insieme si comprendeva che un Essere misterioso lo rapiva. Ed ecco che don Mario, che era rimasto come paralizzato, si sente scuotere: «Don Mario, è rivenuta!». E Bruno che gli parla, pieno di gioia. Ora appare pallidissimo e trasformato da un’intensa emozione. Gli racconta che durante la visione la Madonna aveva posto le sue mani sul capo a tutti e due e poi se n’era andata, lasciando un profumo intenso. Profumo che perdura e che percepisce anche don Mario, che quasi incredulo dice: « Qui…, questo profumo ce l’hai messo tu». Poi entra di nuovo nella grotta, esce fuori e odora Bruno…, ma Bruno non ha alcun profumo addosso. In quel momento giunge Luciano Gatti, tutto ansimante, alla ricerca dei suoi due compagni che erano partiti senza aspettarlo. Allora il sacerdote gli dice: «Vai dentro alla grotta…, senti…: mi dici quello che provi?». Il giovane entra nella grotta ed esclama immediatamente: «Che profumo! Che avete messo qua, le bottigliette di profumo?». «No», grida don Mario, «è apparsa la Madonna nella grotta!». Poi entusiasta, abbraccia Bruno e gli dice: «Bruno, mi sento legato a te!». A queste parole il veggente ha come un sussulto e pieno di gioia riabbraccia don Mario. Quelle parole pronunciate dal sacerdote erano il segno che la Madonna gli aveva dato per indicargli che sarebbe stato colui che lo avrebbe accompagnato dal papa per consegnargli il messaggio. La Bella Signora aveva realizzato tutte le sue promesse riguardo ai segnali. Probabilmente l’avere don Mario rivelato in quella occasione a Luciano Gatti i fatti delle apparizioni, contribuì a innescare tutto un processo di divulgazione, finché la notizia giunse anche alle orecchie dei giornalisti e quindi in questura, nonché, come era ovvio, al vicariato di Roma.

7.

«ERA DE CICCIA!…»

In quel venerdì 30 maggio, Bruno dopo avere lavorato tutto il giorno si sentiva stanco, ma la grotta continuava a esercitare su di lui un fascinoso e irresistibile richiamo. Quella sera si sentiva particolarmente attratto, per cui vi si recò per recitare il rosario. Entra nella grotta e comincia a pregare tutto solo. E la Madonna gli appare facendosi precedere da quella sua luce abbagliante e visibile nello stesso tempo. Questa volta gli affida un messaggio da portare: «Va’ dalle mie dilette figlie, le Maestre Pie Filippine, e dì loro che preghino molto per gli increduli e per l’incredulità del loro rione». Il veggente vuole portare subito a termine l’ambasciata della Vergine ma non conosce queste suore, non saprebbe proprio dove rintracciarle. Mentre scende, incontra una donna alla quale domanda: «Ma che, c’è un convento di suore qui vicino?». «C’è lì la scuola delle Maestre Pie», gli risponde la donna. In effetti, in una di quelle case solitarie, proprio sul ciglio della strada, da trent’anni si erano stabilite queste suore su invito di papa Benedetto XV, aprendo una scuola per i figli dei contadini di quella zona suburbana. Bruno suona alla porta…, ma nessuno risponde. Nonostante i ripetuti tentativi, la casa rimane silenziosa e nessuno apre la porta. Le suore sono ancora sotto il terrore del periodo di occupazione tedesca e del successivo movimento delle truppe alleate, e non si avventurano più a rispondere né tanto meno ad aprire la porta appena è calata la sera. Ora sono le 21. Bruno è costretto a rinunciare per quella sera a trasmettere il messaggio alle religiose e se ne ritorna a casa con l’animo inondato di grande gioia che trasfonde in famiglia: «Jolanda, bambini, ho rivisto la Madonna!». La moglie piange di commozione e i bambini, battendo le mani: «Papà, papà, riportaci alla grotta! La vogliamo rivedere pure noi!». Ma un giorno, andando alla grotta, viene preso da un grande senso di tristezza e di delusione. Da alcuni segni si rende conto che essa è tornata a essere luogo di peccato. Amareggiato, Bruno scrive su un foglio questo appello accorato e lo lascia nella grotta: «Non profanate questa grotta con il peccato impuro! Chi fu creatura infelice nel mondo del peccato, rovesci le sue pene ai piedi della Vergine della Rivelazione, confessi i suoi peccati e beva a questa fonte di misericordia. È Maria la dolce madre di tutti i peccatori. Ecco che cosa ha fatto per me peccatore. Militante nelle file di Satana nella setta protestante avventista, ero nemico della Chiesa e della Vergine. Qui il 12 aprile a me e ai miei bambini è apparsa la Vergine della Rivelazione, dicendomi di rientrare nella Chiesa cattolica, apostolica, romana, con segni e rivelazioni che lei stessa mi ha manifestato. L’infinita misericordia di Dio ha vinto questo nemico che ora ai suoi piedi implora perdono e pietà. Amatela, Maria è la dolce madre nostra. Amate la Chiesa con i suoi figli! Ella è il manto che ci copre nell’inferno che si scatena nel mondo. Pregate molto e allontanate i vizi della carne. Pregate!». Appende questo foglio a una pietra, all’ingresso della grotta. Non sappiamo quale possa essere stato l’impatto suscitato da questo appello in coloro che si recarono alla grotta per peccare. Di sicuro sappiamo però che quel foglio finì in seguito sul tavolo del commissariato di polizia di S. Paolo. Ecco perché ne possediamo il testo esatto.