Cristiano condannato all’ergastolo perché accusato di blasfemia contro Maometto

Nel giugno scorso il tribunale di Rawalpindi, in Pakistan, ha confermato l’ergastolo per un cristiano ritenuto colpevole di avere inviato messaggi di testo blasfemi, nonostante il fatto che l’accusa abbia manomesso le prove e non sia riuscita a dimostrare il suo coinvolgimento, come riportato dall’avvocato dell’imputato, Tahir Bashir. Ne parla BibliaTodo.com.

Il 3 maggio 2017, Bhatti, 56 anni, è stato condannato all’ergastolo – che in Pakistan dura 25 anni – per il presunto invio di SMS sprezzanti nei confronti di Maometto, il profeta dell’Islam. Bhatti ha sempre negato l’accusa.

Martedì 22 giugno 2021, un giudice di Rawalpindi ha confermato la condanna di Bhatti, nonostante il fatto che le nuove prove presentate dall’accusa non potessero collegarlo direttamente al presunto crimine.

Nel tentativo di trasformare la sua condanna a vita in una condanna a morte, l’accusa, Ibrar Ahmed Khan, ha intentato una causa nel 2020 presso l’Alta Corte di Lahore chiedendo un esame forense per raccogliere gli audio attraverso le società di telefonia mobile per cercare di stabilire il coinvolgimento diretto di Bhatti nei messaggi.

La polizia ha ottenuto campioni audio da tre persone, compreso il proprietario del telefono, Ghazala Khan, che lavorava con Bhatti. Khan è stato arrestato e accusato di blasfemia nel 2012, morto nel 2016 di epatite C a 39 anni.

L’avvocato Bashir ha dichiarato che il 15 aprile, il caso è stato riportato davanti al giudice di Rawalpindi, Sahibzada Naqeeb Sultan, con l’ordine di completare l’esame di “nuove prove” in due mesi.

Durante il processo iniziale, infatti, il giudice non era soddisfatto delle prove per incriminare Bhatti, condannato all’ergastolo nonostante il fatto che la pena obbligatoria per il reato di blasfemia sia la morte.

L’avvocato di Bhatti ha presentato ricorso contro la sua condanna all’Alta Corte di Lahore nel 2017 ma l’azione è stata rinviata più volte nel corso degli anni. L’avvocato, comunque, spera che un giorno possa essere dichiarata l’innocenza del suo assistito.