Devozione a Madre Teresa: quello che la Santa disse sulla povertà

Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi; ma il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo (Lc 9) 58). La povertà è la nostra dote.

Di fronte a Dio la nostra povertà è umile riconosci­mento ed accettazione della nostra fragilità umana, della nostra impotenza e nullità; è consapevolezza della nostra indigenza che si esprime come speranza in lui e disponibilità a ricevere tutto da lui che è Pa­dre. La nostra povertà dovrebbe essere veramente evangelica – amabile, lieta, cordiale, sempre pronta a offrire un gesto di amore. La povertà è amore prima di essere rinuncia.

Per amare è necessario dare.

Per dare è necessario essere liberi dall’egoismo. De­siderose di condividere la povertà di Cristo e quella dei nostri poveri:

– consentiremo ad avere tutto in comune e a condi­videre ogni cosa con le Sorelle in congregazione;

– non accetteremo assolutamente nulla dai parenti, amici o benefattori per il nostro uso personale. Qua­lunque cosa ci venga offerta la consegneremo ai no­stri superiori ad uso della comunità o per il servizio dei poveri;

– mangeremo il cibo della gente, del paese in cui vi­viamo, preferendo ciò che è più a buon mercato. Do­vrà essere sufficiente e sano, per mantenerci in buona salute, cosa essenziale dato il lavoro che la nostra vocazione richiede;

– le nostre case saranno semplici e modeste, luoghi dove i poveri possano sentirsi a casa propria;

– andremo a piedi, ogni volta che ne avremo l’occa­sione, o ci serviremo dei mezzi più umili di trasporto disponibili;

– dormiremo in dormitori comuni senza privatezza, come i poveri;

– noi e i nostri poveri dipenderemo interamente dal­la Provvidenza divina per le nostre necessità sia ma­teriali che spirituali.

Ogni volta che sarà necessario saremo disposte an­che a fare la questua di buon grado, in spirito di po­vertà e di fiducia gioiosa, facendoci mendicanti per le membra povere del Cristo che visse Egli stesso di elemosine durante la sua vita pubblica e che noi serviamo nei malati e nei poveri. Non faremo provviste, né mendicheremo più di quanto sia ne­cessario.

Nella nostra Congregazione dobbiamo cercare di avere come meta la povertà più completa. Essa deve essere un muro di difesa che ha due effetti:

– tiene lontano il nemico. Come sappiamo dagli Esercizi Spirituali, il primo stratagemma del diavolo è infondere negli uomini l’amore per le ricchezze; il vero amore per la povertà evangelica chiude l’accesso dello spirito del male nelle nostre esistenze;

– assicura pace e protezione a coloro che vivono nel­l’interno di questo muro.

Nostro Signore sulla croce non possedeva niente. La croce era stata data da Pilato, i chiodi e la corona gli erano stati dati dai soldati. Era nudo e, quando mori, croce, chiodi e corona gli furono portati via; fu av­volto in un sudano donatogli da una persona di buon cuore e fu sepolto in una tomba che non era sua.

Dobbiamo perdere l’abitudine di preoccuparci del futuro. Non c e motivo. Il Signore è qui. Quando viene il desiderio del denaro, viene anche il deside­rio di ciò che il denaro può dare: cose superflue, bel­le camerette, ricercatezze a tavola, più abiti, ventila­tori, ecc. Le nostre necessità aumenteranno, perché una cosa tira l’altra e il risultato sarà una continua scontentezza. La povertà ci rende libere. Ecco per­ché possiamo scherzare e sorridere e avere il cuore felice per Gesù. La prima vera povertà fu quella di Cristo che «spogliò se stesso». Per nove mesi egli rimase nascosto nel piccolo spazio del seno di Maria: nemmeno Giuseppe sapeva chi egli fosse. Pur possedendo tutto, non possedeva nulla. Anche la sua nascita fu come quella dei più poveri tra i pove­ri. Anche i nostri poveri hanno qualcuno che li assiste… Maria, no. A Nazareth, anche la sua gente lo disprezzava. Non era necessario per Gesù praticare questa povertà assoluta. il motivo è uno solo: lo de­siderava. Egli voleva essere nella maniera più com­pleta uno di noi.

La povertà è necessaria perché serviamo i poveri. Quando si lamentano per il cibo, possiamo dire: lo mangiamo anche noi. Dicono: faceva tanto caldo sta­notte, non si poteva dormire. Possiamo rispondere:

anche noi abbiamo avuto tanto caldo. I poveri si fan­no il bucato, vanno scalzi: così facciamo anche noi. Dobbiamo abbassarci per elevarli. il cuore dei pove­ri si apre quando possiamo affermare che viviamo come loro. A volte hanno un solo secchio d’acqua. Così anche noi. Fanno la fila: anche noi. Cibo, vestia­rio, tutto deve essere come quello che hanno i pove­ri. Non facciamo digiuni. Il nostro digiuno èmangiare quello che riceviamo senza scelte di sorta.

Cristo pur essendo ricco spogliò se stesso. Qui si trova la contraddizione. Se voglio essere povera co­me Cristo – che si fece povero pur essendo ricco -devo fare lo stesso. Oggigiorno c’è chi vuole esser povero e vivere come i poveri, ma vuole essere libe­ro di disporre delle cose come desidera. Avere que­sta libertà significa essere ricco. Vogliono avere tutt’e due le cose e non possono averle. Questo è un altro genere di contraddizione. La nostra povertà è la nostra libertà. Questa è la no­stra povertà: rinunciare alla nostra libertà di disporre delle cose, di scegliere, di possedere. Nel momento in cui mi servo delle cose e ne dispongo come se fos­sero mie, in quel momento cesso di essere povera. Dobbiamo sforzarci di acquistare il vero spirito di povertà, che si manifesta nell’amore con cui prati-chiamo la virtù della povertà ad imitazione di Cri­sto, che la scelse come compagna della sua vita terrena quando venne a vivere in mezzo a noi. Cri­sto non era tenuto a vivere una vita di povertà, ma scegliendola ci ha insegnato quale importanza ha per la nostra santificazione.

Pratichiamo la virtù della povertà quando ci ram­mendiamo i nostri vestiti rapidamente, e nella manie­ra più bella che ci sia possibile. Andare in giro con un abito e con un san lacero non è certamente indi­zio di virtù di povertà; perché ricordiamolo, non professiamo la povertà dei mendicanti, ma la pover­tà di Cristo. Ricordiamo anche che il nostro corpo ètempio dello Spirito Santo e che per questo motivo dobbiamo sempre rispettarlo con vesti rammendate bene. Non ci sogneremmo mai di usare panni spor­chi e stracciati come velo del tabernacolo per coprire la porta della dimora che Cristo ha scelto per Sé sulla terra fino dal giorno della sua ascensione al cielo.

Per lo stesso motivo, non dovremmo mai coprire il tempio dello Spirito Santo, che è il nostro corpo con vesti stracciate, sporche, in disordine. I vestiti rattop­pati non sono una vergogna. Si dice di San Francesco di Assisi che, quando mori, il suo abito aveva tante di quelle toppe che la veste originaria non esisteva più.

I poveri sono anime grandi e dobbiamo loro profonda gratitudine, perché se non ci avessero accettato non esi­steremmo come Missionarie della Carità. Per poter comprendere questo guardiamo Gesù. Per potersi fare uomo, Egli, pur essendo ricco si fece povero. Avrebbe potuto scegliere il palazzo del re, ma per essere eguale a noi, scelse di essere come noi in tutto, eccetto il peccato. Per essere eguali ai poveri, scelse di essere povero come loro in ogni cosa, eccetto la miseria. Ciascuna di noi ha dato la sua parola a Dio di seguire Cristo nella povertà.

Quando fate voto di povertà, dite: «Io non ho nul­la». Ecco perché non potete distruggere le cose o re­galarle senza permesso. Non avete nemmeno il diritto di dire: «Questo è il mio san». Per noi, la po­vertà è libertà. Tu sei libera di amare Dio – libera di amare Dio con cuore indiviso.

Il diavolo si dà molto da fare. Quanto più la nostra opera tende a portare anime a Dio, tanto più egli cerca di allontanarci da Dio, di sciupare il nostro lavoro. La povertà costituisce una straordinaria prote­zione. Io la chiamo libertà. Nulla e nessuno mi sepa­rerà dall’amore di Cristo.

Devi sperimentare la gioia della povertà. La povertà non è solo rinuncia. La povertà è gioia, è amore. Il motivo di ogni mia privazione’è che «amo Gesù». Fin­ché tu stessa non sperimenterai questa gioia della po­vertà, non comprenderai mai ciò che dico. Abbi il coraggio di vivere questa povertà. Gesù nacque a Be­tlemme, tutto quello che aveva era un pezzo di stoffa, un po’ di paglia. Immagina gli animali riuniti intorno al Bambino. Non c’erano stufe elettriche. La Madon­na deve avergli insegnato a camminare. Avrebbe po­tuto scendere dal cielo già uomo fatto, invece venne fra di noi come un piccolo bimbo. Ogni cosa era stata fatta per Lui. Egli si fece povero per amor nostro.

Non dimenticherò mai una cosa che accadde quando ero a Loreto. Fra le bambine ce n’era una tanto, tanto birichina. Aveva sei o sette anni. Un giorno in cui era più turbolenta del solito, la presi per mano e le disse:

«Vieni, andiamo a fare una passeggiata». Aveva con sé alcune monete. Con una mano teneva la mia ma­no, con l’altra teneva strette le monete. «Voglio com­prare questo, voglio comprare quello», andava dicen­do. Improvvisamente vide un mendicante cieco e subi­to gli diede le sue monete. Da quel giorno fu una bam­bina completamente diversa. Era tanto piccola e tanto irrequieta. Bastò quella decisione per cambiare la sua vita. Lo stesso vale per noi. Liberati da tutto ciò che può frenare il tuo slancio. Se vuoi essere tutta di Ge-sù, la decisione deve venire dal tuo profondo.

Desidero che tu sperimenti quella gioia della pover­tà che è in realtà la perfetta letizia di San Francesco di Assisi.

Egli la chiamava Madonna Povertà. Quanto più ab­biamo, tanto meno sappiamo dare. Procuriamo, dun­que, di avere meno, per essere realmente capaci di dare tutto a Gesu.

Siccome i poveri diventano di giorno in giorno più poveri – a causa del rapido aumento del costo del­la vita – poniamo maggiore attenzione nel praticare la povertà nelle nostre case. Cerchiamo di moderar­ci nell’uso di quelle comodità che i nostri poveri non possono permettersi, facendo in modo di av­vertire la scarsità di cibo, di vestiario, di acqua, di elettricità, di sapone, cose di cui essi spessissimo fanno a meno.