Devozione a Maria: storia alla preghiera del saluto

STORIA DELLA “PREGHIERA DI SALUTO”

iUna pastorella della Baviera il 20/06/1646 si trovava con il suo gregge al pascolo.

Lì c’era un’immagine della Madonna davanti alla quale la ragazzina aveva promesso che avrebbe recitato tutti i giorni nove Rosari.

Sopravvenne un grande caldo su quella regione e il bestiame non le lasciò il tempo di pregare. Le apparve allora la nostra Cara Signora e le promise di insegnarle una preghiera che avrebbe avuto lo stesso valore della recita di nove Rosari.

Ebbe dalla Signora l’incarico di insegnarla ad altri.

La pastorella, però, tenne per sé la preghiera e il messaggio fino alla morte. L’anima sua, dopo la morte, non riuscì ad avere la pace; Dio le diede la grazia di manifestarsi ed ella disse che non avrebbe trovato la pace, se non avesse rivelato questa preghiera agli uomini, dato che la sua anima era vagante.

Riuscì così a conseguire la pace eterna.
La riportiamo di seguito ricordando che, recitata per tre volte dopo un Rosario, corrisponde all’equivalente impegno di nove Rosari:

“PREGHIERA DI SALUTO”

(da ripetersi per 3 volte dopo il Rosario)

Dio Ti saluta, o Maria. Dio Ti saluta, o Maria. Dio Ti saluta, o Maria.
O Maria, io Ti saluto 33.000 (trentatremila) volte,
come ti ha salutato l’arcangelo San Gabriele.
E’ gioia per il Tuo Cuore ed anche per il mio cuore, che l’Arcangelo Ti abbia portato il saluto del Cristo.
Ave, o Maria…

Meditazione di oggi Giovedì

L’Inferno.
1. L’inferno è un luogo destinato dalla divina Giustizia a punire con supplizio eterno quelli che muoiono in peccato mortale. La prima pena che i dannati patiscono nell’inferno si è la pena dei sensi, i quali sono tormentati da un fuoco che brucia orribilmente senza mai diminuire. Fuoco negli occhi, fuoco nella bocca, fuoco in ogni parte. Ogni senso patisce la propria pena. Gli occhi sono accecati dal fumo e dalle tenebre, atterriti dalla vista dei demoni e degli altri dannati. Le orecchie giorno e notte non odono che continui urli, pianti e bestemmie. L’odorato soffre oltremodo pel fetore di quello zolfo e bitume ardente che soffoca. La bocca è crucciata da ardentissima sete e fame canina: Et famem patiéntur ut canes. Il ricco Epulone in mezzo a quei tormenti alzò lo sguardo al cielo e chiese per somma grazia una piccola goccia di acqua, per temperare l’arsura della sua lingua, e anche una goccia d’acqua gli fu negata. Onde quegli sventurati, arsi dalla sete, divorati dalla fame, tormentati dal fuoco, piangono, urlano e si disperano. Oh inferno, inferno, quanto sono infelici quelli che cadono ne’ tuoi abissi! Che ne dici, figliuolo mio? se tu avessi a morire in questo momento, dove andresti? Se ora non puoi tenere un dito sopra la fiammella di una candela, se non puoi soffrire nemmeno una scintilla di fuoco sulla mano senza gridare, come potrai reggere allora tra quelle fiamme per tutta l’eternità?

2. Considera inoltre, figliuolo mio, il rimorso che proverà la coscienza dei dannati. Essi soffriranno un inferno nella memoria, nell’intelletto; nella volontà. Si ricorderanno continuamente del motivo per cui si sono perduti, cioè per aver voluto dare sfogo a una qualche passione: questo ricordo è quel verme che non muore mai: Vermis eorum non moritur. Si ricorderanno del tempo che fu loro dato da Dio per salvarsi ancora dalla perdizione, dei buoni esempi dei compagni, dei propositi fatti e non eseguiti. Ripenseranno alle prediche udite, agli avvisi del confessore, alle buone ispirazioni avute di lasciare il peccato, e vedendo che non c’è più rimedio, manderanno urla disperate. La volontà poi non avrà mai più niente di quello che vuole, è al contrario patirà tutti i mali. L’intelletto infine conoscerà il gran bene che ha perduto. L’anima separata dal corpo, presentandosi al divin tribunale, intravede la bellezza di Dio, conosce tutta la sua bontà, quasi contempla per un istante lo splendore del Paradiso, forse ode anche i canti dolcissimi degli Angeli e dei santi. Che dolore, vedendo che tutto ha perduto per sempre! Chi potrà mai resistere a tali tormenti?

3. Figlio mio, che ora non curi di perder il tuo Dio e il Paradiso, conoscerai la tua cecità quando vedrai tanti tuoi compagni più ignoranti e più poveri di te trionfare e godere nel regno de’ cieli, e fu maledetto da Dio sarai cacciato via da quella patria beata, dal godimento di Lui, dalla compagnia della Santissima Vergine e dei Santi. Su dunque, fa’ penitenza; non aspettare che non vi sia più tempo: datti a Dio. Chi sa che non sia questa l’ultima chiamata, e che se non vi corrispondi, Iddio non t’abbandoni e non ti lasci piombare giù in quegli eterni supplizi! Deh! Gesù mio, liberatemi dall’inferno! A poenis inférni libera me, Domine!