Devozione all’ora Santa: origine, storia e le grazie che si ottengono

La pratica dell’Ora Santa, risale direttamente alle rivelazioni di Paray-le-Monial e attinge, di conseguenza, la sua origine dal Cuore stesso di nostro Signore. Santa Margherita Maria pregava davanti al Santissimo Sacramento esposto. Nostro Signore si presentò a lei in una splendida luce: le indicò il suo Cuore e si lamentò amaramente dell’ingratitudine di cui era oggetto da parte dei peccatori.

«Ma almeno — aggiunse — dammi la consolazione di supplire alle loro ingratitudini, per quanto potrai esseme capace».

Ed Egli stesso indicò alla sua serva fedele i mezzi da utilizzare: la Comunione frequente, la Comunione del primo venerdì del mese e l’Ora Santa.

«Tutte le notti dal giovedì al venerdì — le disse — ti farò partecipare alla stessa tristezza mortale che volli provare nell’Orto degli Ulivi: questa tristezza ti condurrà senza che tu lo possa comprendere, ad una specie d’agonia più dura a sopportarsi della morte. E per unirti a me, nell’umile preghiera che presenterai allora al Padre mio, in mezzo a tutte le angosce, ti alzerai tra le ventitré e mezzanotte, per prostrarti per un’ora con me, con la faccia a terra, sia per calmare la collera divina chiedendo misericordia per i peccatori, sia per addolcire in certo modo l’abbandono dei miei apostoli, che mi obbligò a rimproverarli di non aver potuto vegliare un’ora con me; durante quest’ora tu farai quello che io t’insegnerò».

In altro luogo la Santa soggiunge: «Egli mi disse in quel tempo che tutte le notti, dal giovedì al venerdì, avrei dovuto alzarmi nell’ora indicatami per dire cinque Pater e cinque Ave Maria, prostrata a terra, con cinque atti di adorazione, che Egli mi aveva insegnato, per rendergli omaggio nell’estrema angoscia che Gesù aveva sofferto nella notte della sua Passione».

II — STORIA

a) La Santa

Ella fu sempre fedele a questa pratica: «Non so — scrive una delle sue Superiore, Madre Greyflé — se Vostra Carità ha saputo che ella aveva l’abitudine, fin da prima che fosse presso di voi, di fare un’ora d’adorazione, nella notte dal giovedì al venerdì, che cominciava dalla fine del mattutino, fino alle undici; restando prostrata con la faccia a terra, con le braccia in croce, lo le feci cambiare posizione solamente nel tempo in cui le sue infermità erano più gravi e (le consigliai) piuttosto (di) stare in ginocchio con le mani giunte o le braccia incrociate sul petto».

Nessuna fatica, nessuna sofferenza poterono impedirle questa devozione. L’obbedienza alle Superiore era la sola cosa capace di farle smettere questa pratica, perché nostro Signore le aveva detto: «Non fare nulla senza l’approvazione di quelli che ti guidano, affinchè avendone l’autorità dall’obbedienza, Satana non possa ingannarti, poiché il demonio non ha alcuna forza su coloro che obbediscono».

Tuttavia quando le sue Superiore le proibivano questa devozione, nostro Signore manifestava il suo
dispiacere. «Volli perfino impedirgliela totalmente, — scrive Madre Greyflé — ella ubbidì all’ordine che le diedi, ma spesso, durante questo periodo d’interruzione, veniva da me, timidamente, per espormi che le pareva non fosse gradita a nostro Signore questa decisione troppo radicale e che temeva che Egli avrebbe poi manifestato il suo disappunto in modo tale che io ne avrei sofferto. Tuttavia non desistetti, ma vedendo suor Quarré morire quasi improvvisamente per un flusso di sangue di cui nessuna (in precedenza) era stata malata nel monastero e alcune altre circostanze che accompagnarono la perdita di un così buon soggetto, chiesi subito a Suor Margherita di riprendere l’ora di adorazione e fui perseguitata dal pensiero che quella fosse stata la punizione di cui ella mi aveva minacciato da parte di nostro Signore».

Margherita continuò dunque a praticare l’Ora Santa. «Questa cara sorella — dicono le contemporane — e ha sempre continuato a vegliare l’ora della preghiera della notte, dal giovedì al venerdì fino all’elezione della nostra venerata Madre», cioè la madre Lévy de Chàteaumorand, che gliela proibì di nuovo, ma Suor Margherita non visse più di quattro mesi dall’elezione della nuova Superiora.

b) Dopo la Santa

Senz’alcun dubbio il suo esempio assiduo e l’ardore del suo zelo condussero molte anime a questa bella veglia con il Sacro Cuore. Tra i numerosi istituti religiosi che si dedicano al culto di questo Cuore divino, tale pratica fu tenuta in grande onore e lo fu specialmente nella Congregazione dei Sacri Cuori. Nel 1829 P. Debrosse S.l. fondò, a Paray-le-Monial, la Confraternita dell’Ora Santa, che Pio VI li approvò. Questo stesso Pontefice accordò il 22 dicembre 1829 ai membri di questa Confraternita un’indulgenza plenaria ogni volta che avessero praticato l’Ora Santa.

Nel 1831 papa Gregorio XVI estese questa indulgenza ai fedeli del mondo intero, alla condizione che fossero iscritti nei registri della Confraternita, divenuta Arciconfraternita il 6 aprile 1866, per l’intervento del sommo pontefice Leone XIII.15

Da allora in poi i Pontefici non hanno cessato di incoraggiare la pratica dell’Ora Sanfa e il 27 marzo 1911 San Pio X accordò all’Arciconfraternita di Paray-le-Monial il grande privilegio di affiliarsi le confraternite dello stesso nome e di farle beneficiare di tutte le indulgenze di cui essa gode.

III – SPIRITO

Nostro Signore stesso indicò a Santa Margherita Maria con quale spirito dev’essere fatta questa preghiera. Per esserne convinti basta ricordare gli obiettivi che il Sacro Cuore chiese di avere alla sua confidente. Ella doveva, come abbiamo visto:

1. calmare la collera divina;

2. chiedere misericordia per i peccati;

3. riparare per l’abbandono degli apostoli. È superfluo soffermarsi a considerare il carattere d’amore compassionevole e riparatore che hanno questi tre scopi.

Non c’è da meravigliarsi d’altronde, poiché tutto, nel culto del Sacro Cuore, converge verso questo amore misericordioso e questo spirito di riparazione. Per convincersene basta rileggere il racconto delle apparizioni del Sacro Cuore alla Santa:

«Un’altra volta, — ella disse — in tempo di carnevale… Egli si presentò a me, dopo la Santa Comunione, con l’aspetto di un Ecce Homo carico della sua croce, tutto coperto di piaghe e di ferite; il suo sangue adorabile sgorgava da tutte le parti e diceva con voce dolorosamente triste: «Non ci sarà dunque nessuno che abbia pietà di me e che voglia compatire e partecipare al mio dolore, nello stato compassionevole in cui mi mettono i peccatori, soprattutto adesso?».

Nella grande apparizione,ancora lo stesso lamento:

«Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini, che niente ha risparmiato fino ad esaurirsi ed a consumarsi per attestare loro il suo amore; e per riconoscenza, dalla maggior parte di essi io ricevo solo ingratitudini con i loro sacrilegi e con la freddezza e il disprezzo che hanno per me in questo Sacramento d’amore. Ma ciò che mi fa ancor più male, è che proprio dei cuori a me consacrati si comportano così».

Chiunque ha sentito questi amari lamenti, questi giusti rimproveri di un Dio oltraggiato dal disprezzo e dall’ingratitudine, non si meraviglierà della profonda tristezza che domina in queste Ore Sante, né di trovarvi sempre, dovunque, l’accento del richiamo divino. Noi abbiamo semplicemente voluto far sentire l’eco fedelissima dei lamenti ineffabili (Cfr. pm 8,26) del Getsemani e di Paray-le-Monial.

Ora, nell’una come nell’altra occasione, Gesù più che parlare, sembra singhiozzare d’amore e di tristezza. Così non ci stupiremo di sentirci dire dalla Santa: «Poiché l’obbedienza mi ha permesso questo (l’Ora Santa), non si può dire quello che io ne soffrivo, perché mi sembrava che questo Cuore divino versasse nel mio tutta la sua amarezza e riducesse l’anima mia in tali angosce ed agonie così dolorose, che mi pareva talvolta doverne morire».

Non perdiamo però di vista lo scopo finale che nostro Signore si propone con il culto del suo Cuore divino, che è il trionfo di questo Cuore Sacratissimo: il suo Regno d’Amore nel mondo.