La grande testimonianza di Padre Pio sull’Angelo Custode

PADRE PIO: A COLLOQUIO CON L’INVISIBILE
Anche il popolare Padre Pio da Pietralcina (nome di battesimo Francesco Forgione, 1887-1968), in fase di canonizzazione mentre compiliamo questo lavoro, poté contare sulla presenza costante, al suo fianco di un uomo maestoso, di rara bellezza, splendente come il sole, il quale, prendendolo per mano lo incoraggiava: “Vieni con me perché ti conviene com-battere da valoroso guerriero”.

Diverso invece l’angelo che inflisse al sacerdote le stigmate, una sera d’agosto del 1918. Ecco come le cronache dell’epoca riportarono l’evento: “Gli apparve un personaggio celeste, con in mano una specie di arnese simile a una lunghissima lamina di ferro con una punta ben affilata e che sembrava che da essa uscisse fuoco, con la quale colpi Padre Pio nell’anima, facendolo gemere di dolore. Si aprì così la sua prima stigmata al costato, cui dopo la messa seguirono le altre due alle mani”. Lo stesso Padre Pio riferirà in proposito: “Ciò che sentivo in quell’istante in me non saprei dirvelo. Mi sentivo morire… e m’avvidi che mani, piedi e costato erano traforati…”

Ma sulla vita di Padre Pio e sui suoi rapporti con gli esseri di luce, esiste una vasta letteratura e un’aneddotica ricchissima. Ne riportiamo di seguito solo alcuni brani.

Racconta uno dei biografi: “Ero un giovane seminarista quando Padre Pio mi confessò, mi diede l’assoluzione e poi mi chiese se credevo al mio angelo custode. Risposi esitante che, per la verità, non l’avevo mai visto e lui, fissandomi con sguardo penetrante, mi tirò un paio di ceffoni e aggiunse: – Guarda bene, è là ed è molto bello! – Mi girai e non vidi niente, ma il padre aveva negli occhi l’espressione di qualcuno che davvero guarda qual-cosa. Non stava fissando il vuoto. I suoi occhi brillavano: riflettevano la luce stessa del mio angelo”.

Padre Pio soleva chiacchierare abitualmente col proprio angelo. Curio-so questo monologo (che per lui era però un vero e proprio dialogo) casual-mente estortogli da un frate cappuccino: “Angelo di Dio, angelo mio, non sei il mio custode? Mi sei stato donato da Dio (…) Sei una creatura o un creatore? (…) Sei una creatura, c’è una legge e tu devi obbedirle. Devi restare al mio fianco, che tu lo voglia o no (…) Ma tu stai ridendo! (…) E cosa c’è di strano? (…) Dimmi una cosa (…) Devi dirmela. Chi era? Chi c’era là ieri mattina? (riferito a qualcuno che aveva assistito di nascosto a una delle sue estasi) (…) Tu ridi (…) Devi dirmelo (…) Era il professore? Il guardiano? Insomma, dimmelo! (:..) Stai ridendo. Un angelo che ride! (…) Non ti lascerò andare finché non me lo dirai (…)”

Il rapporto di Padre Pio con gli esseri di luce era talmente abituale che molti dei suoi figli spirituali raccontano di come usasse raccomandarsi con loro affinché, in caso di bisogno, gli inviassero il loro angelo custode. Esiste inoltre una numerosa corrispondenza in cui il sacerdote si esprime in tal senso. Un esempio classico è questa lettera del 1915 indirizzata a Raffaellina Cerase: “Al nostro fianco” scrive Padre Pio “c’è uno spirito celeste che, dalla culla alla tomba, non ci abbandona nemmeno per un istante, che ci guida, ci protegge come un amico, come un fratello e che ci consola sempre, specialmente nelle ore che sono per noi le più tristi. Sappiate che questo buon angelo prega per voi: offre a Dio tutte le buone opere che fate, i vostri desideri più santi e puri. Nelle ore in cui vi sembra di essere sola e abbandonata, non dimenticate questo compagno invisibile sempre presente per ascoltarvi, sempre pronto a con-solarvi. O deliziosa intimità! O felice compagnia…”

Che dire poi di episodi che hanno contribuito ad alimentare la leggenda del sant’uomo di Pietralcina: telegrammi la cui risposta arrivava dopo po-chi minuti. Repliche ironiche come “Credi forse che sia sordo?” date ad amici come Franco Rissone i quali domandavano se veramente sentisse la voce dell’angelo. Perfino piccole liti, come quella che lo indusse a tenere il broncio al proprio custode il quale se n’era stato via troppo a lungo lasciandolo in balìa delle tentazioni, come testimonia la seguente lettera del 1912: “Lo rimproverai severamente per essersi fatto attendere così a lungo, sebbene non avessi mai smesso di chiamarlo in mio soccorso. Per punirlo, decisi di non guardarlo in faccia: volevo andarmene, sfuggirgli. Ma lui, poverino, mi raggiunse quasi in lacrime. Mi afferrò e mi fissò, finché non alzai gli occhi, lo guardai in faccia e vidi che era molto dispiaciuto. Disse: – Ti sono sempre vicino, mio caro protetto, ti circondo sempre con l’affetto che ha fatto nascere la riconoscenza verso il beneamato del tuo cuore. L’affetto che provo per te non si spegnerà nemmeno con la fine della tua vita.