Le lacrime di un angelo di Santa Gemma Galgani

UN AIUTO COSTANTE
Anche nel difficile campo dell’obbedienza Gemma è stata aiutata dagli angeli.

Lo stato mistico particolare, per il quale veniva chiamata a una vocazione tutta speciale nella Chiesa, non poteva non esigere un’obbedienza pronta, libera e cordiale verso le persone costituite in autorità, autorità che esercitavano nei suoi confronti.

Pure in questo, anzi, soprattutto nel campo dell’obbedienza, Gemma è stata vera figlia della Passione e partecipe in pieno dell’obbedienza del Crocifisso, della sua kenosis (cfr. Fil 2,8), con un’agonia dello spirito durata fino alla fine.

La Vergine Maria, la «Mamma sua», come usava chiamarla, richiama continuamente Gemma a una vita e a uno stile di obbedienza. La Madonna la educa alla scuola del sacrificio. Soprattutto nell’abbandono alla volontà di Dio, senza tener conto dei dubbi degli altri. Gemma racconta che, nel dire di sì alla Madonna, una mattina, le vennero le lacrime agli occhi: «Le lacrime venivano da loro, io non le volevo». E la Vergine abbracciandola le disse: «Non sai che dopo il sacrificio della croce i sacrifici tuoi ti devono aprire le porte del cielo? »

PURO AMORE OBLATIVO
Anche l’angelo custode è stato educatore di Gemma nell’obbedienza eroica.

S. Bulgakov ha scritto una pagina estremamente suggestiva, da leggere con molta attenzione, sulla kenosis dell’angelo custode nei nostri confronti, sul suo amore sacrificale, che esercita senza perdere nulla della sua beatitudine e dell’attenzione a Dio e alla sua gloria. Questo testo è illuminante per comprendere il motivo di tanti richiami, anche molto duri, dell’angelo custode di Gemma e della sua diuturna affezione e cura verso la giovane mistica:

« Questo amore [l’amore sacrificale] implica una rinuncia alla beatitudine celeste in vista dell’unione con la vita e il destino della natura corporea, grossolana, carnale. Si attua, nello spirito incorporeo, uno svuotamento metafisico, un abbassamento ontologico per unirsi con amore alla vita di un essere di carne. Questa kenosis ha come somiglianza (e fondamento) quella di Dio, il Verbo incarnato, che si è impoverito per noi divenendo uomo. Alla sequela di lui e insieme a lui, senza tuttavia umanizzarsi, l’essere angelico diviene coumano, s’unisce all’umanità attraverso i legami dell’amore».

Qualche affermazione può sembrare paradossale. In effetti non sembra necessario lo «svuotamento metafisico» e F« abbassamento ontologico» nell’angelo, per dargli la possibilità di amare «un essere di carne». È invece molto convincente l’analogia della kenosis dell’angelo, che «illumina, custodisce, regge e governa» l’uomo, con la kenosis del Verbo incarnato. Ogni servizio implica un « impoverimento » di sé, una perdita, per arricchire l’altro. E quello dell’angelo custode è davvero puro amore oblativo che non chiede nulla per sé, ma tutto riferisce al proprio assistito e alla «pietà celeste » che glielo ha affidato.

«TUTTO EFFETTO DELL’OBBEDIENZA»
Ecco un saggio di quanto Gemma apprezzasse l’obbedienza nella lettera del 3 marzo 1901 a padre Germano. Si tratta di una lettera molto importante, che raggiunge padre Germano in un momento molto delicato dei rapporti tra la santa e il confessore abituale, monsignor Volpi:

«Babbo mio, accanto a Gesù nel mio povero cuore, che consolazione si prova, babbo mio, nel fare sempre l’obbedienza! Mi trovo così calma, che non so spiegarmi, e questo mi avvedo che è tutto effetto dell’obbedienza. Ma a chi devo ogni cosa? Al povero babbo mio. Grazie infinite di avermi insegnate tante cose, dati tanti consigli, e liberata ancora da molti pericoli! Coll’aiuto di Gesù voglio ogni cosa sua mettere in pratica, affinché Gesù sia contento, e Lei non abbia mai occasione di arrabbiarsi. Viva Gesù! Ma Lei, babbo mio, conosce a fondo la mia fragilità; è anche la mia testa tanto dura; e però se qualche volta ricado nelle solite mancanze, non s’inquieterà, è vero? Chiederò perdono a Gesù, e farò di nuovo proponimento di non farlo più ».

Pur avendo un carattere molto forte e portato all’indipendenza di giudizio, Gemma è stata sempre docilissima nei confronti dei familiari e dei superiori, specialmente verso coloro che la dirigevano sulle vie dello spirito. Monsignor Volpi l’aveva autorizzata a emettere il voto privato di obbedienza, insieme a quello di castità già dal 1896, e questo voto in Gemma non è stato mai un semplice gesto di devozione.

« QUEL BENEDETTO ANGELO SUO… »
Quando si profilò, fino a cronicizzarsi, il doloroso conflitto di valutazione tra monsignor Volpi e padre Germano a proposito dello stato mistico di Gemma, la dilacerazione interiore della ragazza fu fortissima. Il dubbio e soprattutto la sfiducia in se stessa e nelle sue guide spirituali potevano aprire il varco a una reazione di rigetto incontrollabile e fatale della vocazione e missione alla quale era stata chiamata con segni mistici straordinari inequivocabili. E questa era la conclusione alla quale «Chiappino» voleva far giungere «la povera Gemma».

L’epistolario della santa trabocca di riferimenti a questo conflitto che divenne particolarmente acuto nel 1901 e che non conobbe tregua fino alla fine. In questa sede non possiamo ricostruirne tutti i passaggi.

Con una forma di buonumore tutta particolare, che risulta ben evidente dalle lettere, Gemma fa coraggio innanzi tutto a se stessa e al suo direttore lontano per quello che le

sta succedendo. È un sottile umorismo che attesta il profondo equilibrio interiore della giovane.

In questa situazione aspra, rischiosa e tanto prolungata nel tempo, il ministero angelico svolge la sua parte in modo davvero stupendo. L’angelo custode di Gemma ma soprattutto quello di padre Germano, autentico alter ego del padre lontano, intervengono come strumenti provvidenziali per sostenere la ragazza nella bufera.

Nella già citata lettera del 3 marzo 1901, Gemma spiega a padre Germano che le è apparso il suo angelo, ma lei ha fatto resistenza, proprio per obbedire agli ordini ricevuti:

«Sa, babbo mio? Venerdì sera quel benedetto angelo suo mi fece inquietare: io non ce lo volevo per niente, e lui volle dirmi tante cose. Mi disse appena venne: “Dio ti benedica, o anima affidata alla mia custodia”. S’immagini, babbo mio, io gli risposi così: “Angelo santo, state a sentire: non vi sporcate le mani con me; andate via, andate da qualche altra anima, che sappia far conto dei doni di Dio: io non so fare”. Insomma mi feci capire; ma lui mi rispondeva: “O di che temi?”. “Di disobbedire”, risposi. “No, ché mi manda il babbo tuo”. Allora lasciai dire, ma io lo disprezzavo. “Tu temi, perché credi di sciupare i grandi doni che Dio ti ha fatto? Ma non temere. Questa grazia la chiederò io a Gesù per te; basta che tu mi prometta di corrispondere a tutti gli aiuti che ti darà il babbo tuo. E poi, figlia, non aver tanta paura del patire”. Io gli feci una bella promessa, ma… Mi benedi più volte, gridando forte: “Viva Gesù!” ».

Gemma spiega al direttore lontano che lei ha cercato di obbedire. La preoccupazione maggiore è che Gemma rischi di sciupare i doni ricevuti, in altre parole, di perdersi e di confondersi. L’angelo le raccomanda di non aver paura di patire soprattutto (è implicito ma evidente) per vivere l’obbedienza nella situazione concreta in cui si trovava.

E poi, con la solita bonomia mescolata alla sua tipica ingenuità, Gemma si scusa se gli scrive «tutte queste sciocchezze ». Ma, se Germano non vuole inquietarsi – anticipa -, neanche mandi più l’angelo a farle «belle predichine»:

« Mi pare già di vederlo inquietato, perché ho scritto tutte queste sciocchezze, ma mi perdoni: l’angelo non lo ascolterò più, e Lei non lo mandi più allora. Poi l’angelo mi diceva serio serio: “O figlia, quanto era più perfetta l’obbedienza di Gesù da quella tua! Vedi: egli obbedì sempre con prontezza e volentieri, e tu invece le cose te le fai dire tre o quattro volte. Questa non è l’obbedienza che ti ha insegnata Gesù! A obbedire in questo modo non hai nessun merito. Vuoi un aiuto per far l’obbedienza con merito e con perfezione? Falla sempre per amor di Gesù”. Mi fece una bella predichina, poi se ne andò via.

«Che paura che ho che Lei s’inquieti, ma io mi davo da fare a dire: “Non vi sporcate le mani”, ma lui allora ripeteva: “Viva Gesù!”. Viva dunque Gesù! Viva Gesù solo ».

Ed ecco che Gemma, alla conclusione, riconferma la motivazione profonda della sua vita; ribadisce la sua fedeltà allo Sposo crocifisso; vuole essere obbediente come lui. Ha imparato dall’angelo la lezione in questa situazione non idilliaca, e per questo grida con lui: « Viva Gesù solo ».

«AVEVA GROSSE LACRIME AGLI OCCHI… »
A pochi giorni di distanza, Gemma scrive di nuovo a padre Germano. L’angelo di questi le ha presentato la croce, animandola a portarla con amore. Piange perfino con lei. Gemma soffre molto per quanto sta accadendo fra le persone che ama con amore filiale, giunge a farsene una colpa.

« Oggi stesso prima di mettermi a scrivere questa lettera ho veduto, mi è parso, l’angelo suo custode; l’aveva mandato forse Lei? Quasi piangendo mi ha detto: “Figlia, figlia mia, tu eri poco fa circondata da rose, ma non t’avvedi che ora ognuna di quelle rose spunta fuori delle spine pungenti al tuo cuore? Fino ad ora tu hai gustato il dolce che è intorno alla tua vita, ma ricordati che in fondo vi è del fiele. Vedi”, soggiungeva, “questa croce? È la croce che ti presenta il babbo tuo: è un libro questa croce, che ogni giorno leggerai. Promettimi, figlia, promettimi che questa croce la porterai con amore, e l’avrai cara più di tutte le gioie del mondo” ».

Naturalmente Gemma promette quanto l’angelo le chiede e si associa alle sue lacrime. Gemma teme per i suoi peccati e per il rischio di perdersi. Ma di fronte all’angelo si riaccende la fiamma del desiderio per il paradiso, dove è sicura che tutti i conflitti spariranno nella viva fiamma dell’unico amore.

«Gli ho tutto promesso, e con mano tremante ho abbracciato la croce. Mentre l’angelo così mi parlava, aveva grosse lacrime agli occhi, e più volte me l’ha fatte venire anche a me; e mi guardava con tanta attenzione, che sembrava volesse indagare i segreti nascondigli del mio cuore e rimproverarmi. Sì, aveva ben ragione di rimproverarmi: ogni giorno vado di male in peggio, a peccati aggiungo peccati, e forse mi perderò. Viva Gesù! Vorrei che altri non fossero afflitti per cagione mia, e invece sono a tutti occasione di dispiacere. Ma non vorrei, no, non vorrei; io godo soltanto quando [la zia] è vicina a me che soffro; Gesù allora mi riempie di felicità. Venerdì sera poco mancò che non morissi.

Preghi molto Gesù che presto mi porti in paradiso; mi ha promesso l’angelo che, quando sono buona, mi ci porta subito: ora io mi ci vo’ mettere, e così ci vado presto ».

E la lettera si chiude con un grido di dolore che non poteva non scuotere il padre lontano. Monsignor Volpi infatti, come sappiamo, aveva messo alla prova anche la veridicità delle lettere spedite dall’angelo e la prova non era riuscita, con la conseguenza di un giudizio negativo sulla povera Gemma e sulla linea ascetica adottata da padre Germano.

« Babbo mio, preghi tanto tanto, e poi scriva, risponda, specialmente a questa zia. Vedesse, babbo mio, che burrasca ha nel cuore, non so il perché. Ma, e so tutto che cosa è e di che dubita, forse della lettera? Ma se Gesù non vuole, che ci ho a fare io? Soffro tanto, babbo mio, non mica per quei colpetti che mi dà Gesù, ma per altre cose; non per me, soffro per gli altri. Io non voglio più stare in nessun posto: a stare nel mondo mi affligge troppo il dolore di vedere offendere tanto Gesù; le offese mie sempre nuove: è troppo dolore, babbo mio. In paradiso, in paradiso! E presto. Venerdì poco mancò che non ci andassi, o bene! Babbo mio, lo prego: preghi tanto Gesù e poi risponda; qualunque cosa sia di me, io sono contenta. Gesù è quello che mi sostiene. Viva Gesù! »

Padre Germano, in effetti, risponde a Cecilia Giannini, e in modo molto esplicito: «Riguardo alla lettera non voluta prendere dall’angelo, io stesso scrissi a Monsignore che quella prova che egli intendeva fare, non era secondo Dio, e però la smettesse. Quando il Signore ha dato sufficienti prove per accreditare il suo intervento, il dubitare e cercare nuovi argomenti è un affronto che gli si fa. La curiosità bisogna metterla da banda. Ed ecco perché la lettera non fu presa dall’angelo ».

L’esperimento epistolare richiesto dal Volpi non sembrava opportuno e neppure necessario. Germano si limita a parlare di “curiosità”, ma la prova sembrava toccare in modo diretto una delle parti in causa, cioè lui stesso, la sua autorevolezza e la sua credibilità. Voleva essere una convalida del metodo ascetico adottato dal Passionista o l’intento, sia pure inconscio, di una sua squalifica? Forse da qui il silenzio del segno dell’angelo «portalettere».

«Curiosare» nelle cose di Dio non solo è superfluo e controproducente: è anche rischioso.

« IO SARÒ TUA GUIDA SICURA »
Gemma, comunque, conosce soprattutto gli abbandoni dell’obbedienza e gode per essa una profonda pace dell’anima.

Sempre padre Germano ci racconta un episodio delizioso: «Quando era in letto la sera, benché attorniata da più persone a parlare tra di loro, se l’anzidetta signora le diceva: “Gemma, hai bisogno di riposarti, dormi”, subito chiudeva gli occhi e ponevasi a dormire saporitamente. Io stesso volli farne la prova una volta e, trovandomi in quella casa presso il letto di lei inferma, con altri familiari, le dissi: “Prendetevi la mia benedizione, dormite, e noi ci ritireremo”. Non avevo finito di proferire il comando, che Gemma, voltatasi dall’altra parte, era in profondo sonno. Allora mi posi in ginocchio e, alzando commosso gli occhi al cielo, volli fare un precetto mentale, che si destasse. Mirabil cosa! Come se fosse stata disturbata da voce articolata e sonora, si sveglia e, al suo solito, sorride. Io la rimprovero: “Ma così si fa l’ubbidienza? Vi ho detto di dormire”. Ed essa tutta umile: “Non s’inquieti, padre: mi son sentita picchiare sulla spalla, ed una voce forte mi ha gridato: Su, che il padre ti chiama”. Era il suo angelo custode che le vegliava d’accanto».

Sembra un episodio da fioretti. In parte lo è. È soprattutto estremamente significativo per due aspetti. Nel primo, e più in evidenza, vi risulta la perfetta obbedienza di Gem-

ma anche nelle cose più minute e banali. In effetti, si può dormire a comando? Per il secondo aspetto, che riguarda l’angelo custode, balza con chiarezza la quasi impossibilità morale, per la mistica lucchese, di distinguere tra le voci di questo mondo e le voci celesti, tanto la barriera tra le due era stata abbattuta, non certo per una sua fantasia. È l’angelo che la sveglia, al precetto mentale formulato da padre Germano, picchiandole sulla spalla e gridando con voce forte. Che l’angelo vegliasse accanto a Gemma già lo sapevamo.

Sempre Bulgakovll annota che l’angelo ama colui che gli è affiancato con amore personale e vivo, stabilendo un rapporto di amicizia tipicamente interpersonale, con una profondità che oltrepassa l’amore umano per la sua pienezza e assolutezza. Egli vive con l’essere umano, condivide il suo destino, ricerca la sua corrispondenza nell’amore. Questo determina tutta l’azione dell’angelo verso l’essere umano, con attenzione e inquietudine, con gioia e con tristezza.

L’obbedienza, in Gemma, richiese un duplice sforzo per giungere alla perfezione. Già da bambina fu « costretta a rispondere di sì » alle voci celesti; in secondo luogo, la mistica lucchese fu totalmente obbediente a chi aveva nei suoi confronti il carisma del discernimento e le traduceva, nell’opacità del contingente, i segni interiori. Con l’aiuto degli angeli, Gemma ha cantato vittoria (cfr. Pr 21,28).

« Solo se ci liberiamo dagli allettamenti del male », ha scritto Gregorio di Nissa, «e se fissiamo la nostra mente verso le mete più alte, lasciando ogni atto cattivo e mettendoci davanti come uno specchio la speranza dei beni eterni, potremo riflettere nella limpidezza della nostra anima l’immagine delle cose celesti e sentiremo vicino l’aiuto di un fratello. L’uomo infatti, considerando la parte spirituale e razionale del suo essere, è come un fratello dell’angelo mandato ad assisterci quando stiamo per avvicinarci al faraone ».

Gemma era straordinariamente affascinata dall’angelo, soprattutto perché le insegnava senza posa l’umiltà”. Gemma vedeva bene che non si trattava solo di un insegnamento teorico. La presenza stessa dell’angelo, i suoi atti in riferimento all’Infinito Dio e alla sua assistita erano per la giovane un costante richiamo alla kenosis, all’umile e docile assenso al volere di Dio. L’angelo per Gemma è stato uno straordinario modello di comportamento. Alla dichiarazione di amore della mistica, questa fu la risposta dell’angelo: « Sì, io sarò tua guida sicura; sarò il tuo compagno indissolubile ».