Particolarità degli Angeli, l’opera e la funzione dell’Angelo Custode

Cari amici dell’Arcangelo Michele e degli Angeli santi, nel-l’ultimo numero abbiamo riflettuto insieme sul dogma della creazione dei puri Spiriti ad opera di Dio. Ora, prima di affrontare la seconda verità di fede, propostaci dalla Chiesa, la caduta di una parte degli Angeli (su cui ci intratterremo nel prossimo incontro), vogliamo considerare alcune questioni minori di angelologia, studiate dai Padri, da S.Tommaso e da altri antichi autori: tutti argomenti interessanti anche per noi oggi.

GLI ANGELI QUANDO FURONO CREATI?

La creazione tutta, secondo la Bibbia (fonte primaria di cono-scenza), ha avuto origine ” in principio” (Gn 1,1). Alcuni Padri pen-sano che gli Angeli furono creati il “primo giorno” (ib. 5), quando Dio creò ” il cielo” (ib. 1); altri il “quarto giorno” (ib.19) quando “Dio disse: Ci siano luci nel firmamento del cielo” (ib. 14).

Certi autori hanno posto la creazione degli Angeli avanti, certi altri dopo quella del mondo materiale. L’ipotesi di S.Tommaso – a nostro avviso la più probabile – parla di creazione simultanea. Nel meraviglioso piano divino dell’universo, tutte le creature sono in relazione tra di loro: gli Angeli, deputati da Dio al governo del cosmo, non avrebbero avuto modo di esplicare la loro attività, se questo fosse stato creato dopo; d’altra parte, se ad essi antece-dente, sarebbe stato privo della loro sovrintedenza.

PERCHé DIO HA CREATO GLI ANGELI?

Li ha creati per lo stesso motivo per cui ha dato origine ad ogni altra creatura: per rivelare la propria perfezione e per ma-nifestare la sua bontà attraverso i beni loro elargiti. Li ha creati, non per aumentare la propria perfezione (che è assoluta), né la propria felicità (che è totale), ma perché gli Angeli fossero eternamente felici nell’adorazione di Lui Sommo Bene, e nella visione beatifica.

Possiamo aggiungere quanto scrive San Paolo nel suo grande inno cristologico: “… per mezzo di lui (il Cristo) sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili… per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1,15-16). Anche gli Angeli, dunque, come ogni altra creatura, sono ordinati al Cristo, loro fine, imitano le infinite perfezioni del Verbo di Dio e ne celebrano le lodi.

SI CONOSCE IL NUMERO DEGLI ANGELI?

La Bibbia, in vari passi dell’Antico e del Nuovo Testamento, accenna all’immensa moltitudine degli Angeli. A proposito della teofania, descritta dal profeta Daniele, si legge: “Un fiume di fuoco scendeva dinanzi a Lui [Dio], mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano” (7,10). Nell’Apocalisse è scritto che il veggente di Patmos “durante la visione [intese] voci di molti Angeli intorno al trono [divino]… Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia” (5,11). Nel Vangelo, Luca parla di “una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio” (2,13) alla nascita di Gesù, a Betlemme. Secondo S. Tommaso il numero degli Angeli supera grandemente quello di tutte le altre creature. Dio, infatti, volendo immettere nella creazione, per quanto possi-bile, la propria perfezione divina, ha realizzato questo suo dise-gno: nelle creature materiale, estendendo immensamente la loro grandezza (ad es. gli astri del firmamento); in quelle incorporee (i puri spiriti) moltiplican-done il numero. Questa spiegazione del Dottore Angelico ci sembra sod-disfacente. Possiamo, quindi, a buon ragione credere che il numero degli Angeli, pur essendo finito, limitato, come tutte le cose create, è umana-mente incalcolabile.

SI CONOSCONO I NOMI DEGLI ANGELI E IL LORO ORDINE GERARCHICO?

E’ noto che il termine “angelo”, derivante dal greco (à ì y (Xc =annun-zio), significa propria-mente “messaggero”: indica, quindi, non l’iden-tità, ma la funzione degli Spiriti celesti, mandati da Dio ad annunziare i suoi voleri agli uomini.

Nella Bibbia gli Angeli sono designati anche con altri nomi:

– Figli di Dio (Gb 1,6)

– Santi (Gb 5,1)

– Servi di Dio (Gb 4,18)

– Esercito del Signore (Gs 5,14)

– Esercito del cielo (1Re 22,19)

– Vigilanti (Dn 4,10) ecc. Vi sono inoltre, nella Sacra Scrittura, nomi “collettivi”‘ riferiti agli Angeli: Serafini, Cheru-bini, Troni, Dominazioni, Potenze (Virtù), Potestà, Principati, Arcangeli e Angeli.

Questi diversi gruppi di Spiriti celesti, aventi ciascuno ca-ratteristiche proprie, si sogliono chiamare “ordini o cori”‘. La distinzione dei Cori si suppone che sia secondo “la misura della loro perfezione e i compiti a loro affidati”. La Bibbia non ci ha trasmesso una vera classificazione delle Essenze celesti, né il numero dei Cori. L’elenco che leggiamo nelle Lettere di San Paolo è incompleto, perché l’Apostolo lo termina dicendo: “… e di ogni altro nome che si possa nominare” (Ef 1,21).

Nel Medio Evo, S. Tommaso, Dante, S. Bernardo, e pure i mistici tedeschi, quali Taulero e Suso, domenicani, aderirono pienamente alla teoria dello Pseudo-Dionigi, l’Areopagita (IVN sec. d.C.), autore della “Gerarchia celeste” scritta in greco, introdotta in Occidente da S. Gregorio Magno e tradotta in latino verso l’870. Lo Pseudo-Dionigi, sotto l’influsso della tradizione patristica e del neoplatonismo, compose una classificazione sistematica degli Angeli, divisi in nove Cori e distribuiti in tre Gerarchie.

Prima Gerarchia: Serafini (Is 6,2.6) Cherubini (Gn 3,24; Es 25,18,-S l 98,1) Troni (Col 1,16)

Seconda Gerarchia: Dominazioni (Col 1,16) Potenze (o Virtù) (Ef 1,21) Potestà (Ef 3,10; Col 2,10)

Terza Gerarchia: Principati (Ef 3,10; Col 2,10) Arcangeli (Gd 9) Angeli (Rm 8,38)

Questa ingegnosa costruzione dello Pseudo-Dionigi, che non ha un sicuro fondamento biblico, poteva soddisfare l’uomo del Medio Evo, ma non il credente dell’Età Moderna, per cui non è più accolta dalla teologia. Ne resta un’eco nella devozione popolare della “Corona Angelica”, una pratica sempre valida, da raccomandarsi caldamente agli amici degli Angeli.

Possiamo concludere che, se è giusto respingere ogni artifi-ciosa classificazione degli Angeli (tanto più quelle attuali, formate con nomi fantasiosi accordati arbitrariamente allo zodiaco: pure invenzioni senza alcun fondamento né biblico, né teologico, né razionale!), dobbiamo però ammettere un ordine gerarchico tra gli Spiriti celesti, sia pure a noi sconosciuto nei particolari, perché la struttura gerarchica è propria di tutto il creato. In esso Dio ha voluto immettere, come abbiamo spiegato, la sua perfezione: ogni essere ne partecipa in modo diverso, e tutti congiunti insie-me formano una meravigliosa, sorprendente armonia.

Nella Bibbia leggiamo, oltre gli appellativi “collettivi”, anche tre nomi personali di Angeli:

Michele (Dn 10,13ss.; Ap 12,7; Gd 9), che significa “Chi come Dio?”;

Gabriele (Dn 8,16ss.; Lc 1,IIss.), che significa “Forza di Dio”;

Raffaele (T6 12,15) Medicina di Dio.

Sono nomi – ripetiamo – che indicano la missione e non l’identità dei tre Arcangeli, che rimarrà sempre “misteriosa”, come la Sacra Scrittura ci insegna nell’episodio dell’Angelo che annunciò la nascita di Sansone. Richiesto di dire il suo nome, rispose: “Perché mi chiedi il nome? Esso è misterioso” (Gdc 13,18; vds. anche Gn 32,30).

E’, quindi, vano, cari amici degli Angeli, pretendere di cono-scere – come molti oggi vorrebbero – il nome del proprio Angelo custode, o (peggio ancora!) attribuirglielo secondo i nostri gusti personali. La familiarità con il celeste Guardiano deve essere sempre accompagnata da venerazione e rispetto. A Mosé che, sul Sinai, si avvicinava al roveto ardente incombusto, l’Angelo del Signore intimò di togliersi i sandali “perché il luogo sul quale stai è una terra santa” (Es 3,6).

Il Magistero della Chiesa, fino dall’antichità ha proibito di ammettere altri nomi di Angeli o di Arcangeli oltre i tre biblici. Questa proibizione, contenuta nei canoni dei Concili Laodiceno (360-65), Romano (745) e Aquisgranese (789), è ripetuta in un documento recente della Chiesa, che abbiamo già citato.

Accontentiamoci di quanto il Signore ha voluto farci sapere, nella Bibbia, circa queste sue stupende creature, che sono i nostri Fratelli maggiori. E attendiamo, col massimo della curiosità e dell’affetto, l’altra vita per conoscerli pienamente, e ringraziare, insieme, Dio che li ha creati.

L’Angelo Custode all’opera nella vita di S. Maria Bertilla Boscardin
Monastero “Carmelo S. Giuseppe” Locarno – Monti
Maria Bertilla Boscardin visse nei primi decenni del secolo scorso: suora infermiera dell’Istituto vicentino di S. Dorotea, ritenuta la meno intellettualmente dotata di tutte le sante, raggiun-se un’alta perfezione cristiana nell’assidua fedeltà alle ispirazioni divine sotto la guida dell’Angelo Custode.

Nelle sue note intime, semplici, schiette, realistiche, di cui si serviva come un punto di appoggio e di lancio per il suo progres-so nel cammino della santità, scrisse, un anno prima della sua morte, avvenuta all’età di soli 34 anni: “L’Angelo mio custode mi regge, mi aiuta, mi conforta, m’ispira; lascia il Cielo e sempre mi sta assieme per aiutarmi; oggi voglio stare raccolta, pregarlo spesso e ubbidirlo”.

Leggiamo la vita di S. Maria Bertilla alla luce delle testimo-nianze del processo di Canonizzazione, che la presentano al vivo nel quotidiano in quel suo andare a Dio per la “via dei carri”, com’ella diceva, una via di semplicità, “comune, ma operando in modo fuori del comune” nel servizio umile e nascosto dei fratelli ammalati.

Vogliamo esaminare le virtù esercitate dalla Santa, ricercando in esse l’influsso angelico riconoscibile nei suoi diversi aspetti: ispirazione, sostegno, aiuto, conforto.

L’amore e la pratica della purezza, che gli antichi Padri rite-nevano la principale virtù capace di rendere gli uomini simili agli Angeli, fu eminente in S. Maria Bertilla fino dalla sua adolescenza, quando, all’età di 13 anni, consacrò con voto a Dio la sua vergi-nità: possiamo considerarla un’ispirazione del celeste Custode, bene corrisposta. Un’altra particolare ispirazione e sostegno angelico si può costatare nel comportamento eroico della nostra Santa riguardo all’obbedienza, virtù tipica di “Chi come Dio?” e degli Angeli suoi seguaci. La Madre Maestra dirà di lei novizia:

“obbediva a tutti i suoi superiori, in tutti vedendo Iddio che rap-presentavano; anzi sapeva andare più innanzi, si sottometteva volentieri, spontaneamente anche alle sue consorelle novizie”. Già nella sua vita in famiglia, S. Maria Bertilla aveva esercitato l’obbedienza in modo non comune. Un giorno d’inverno, andò con il babbo a fare legna. Questi, inoltratosi nel bosco, disse alla figlia di attenderlo, restando ferma presso il carretto. Il freddo era intensissimo. Una compagna, che abitava in quel luogo, l’invitò a rifugiarsi in casa sua, ma essa rifiutò: “Il babbo mi ha detto di stare qui” rispose e vi rimase per due ore fino al ritorno di lui.

Un’altra virtù basilare, in cui S. Maria Bertilla si distinse, fu l’umiltà, anche questa peculiare degli Angeli, che la manifestarono apertamente nella loro prova, contro l’orgoglio di Satana e dei suoi adepti.

Quando da piccola “veniva trattata da ‘oca’ – testimonia il babbo – cioè da ignorante, Maria Bertilla non si sconcertava, né si rammaricava. Sembrava insensibile al disprezzo come alle lodi”. E, da suora, chiedeva alla Supe-riora: “Mi corregga sempre”. Una volta ad una consorella, che le disse: “Ma lei non ha amor proprio!”, rispose semplicemen-te: “Sì lo sento… ma taccio per amore di Dio”.

Sotto la guida dell’Angelo Custode, che la sosteneva e le dava forza, S. Maria Bertilla lottava con perseveranza contro l’amor proprio e vin-ceva sempre. Mal-grado le rimanesse per tutta la vita, se non nell’espressio-ne, certamente nella sostanza, l’epiteto di “oca” – le sue capacità intellettive non erano davvero brillanti – ella ottenne il diploma d’infermiera. La sua umil-tà, accettazione serena della propria pochezza, e la sua preghiera fiduciosa la resero capace di assolvere le incombenze affidatele dai superiori. Alla perspicacia nella carità operosa si associava talora in lei una santa furbizia – ispiratale dall’Angelo Custode? – come quando, nel reparto dei bambini difterici, sapendo che il medico di guardia era un novellino, celava la necessità dell’intu-bazione per qualche malatino, attendendo il turno del sanitario pratico. Ma questo santo “gioco” fu presto scoperto e la Santa ricevette in silenzio i rimproveri del Primario.

La sua generosità nell’esercizio dell’amore del prossimo, nella cura dei malati – non solo bambini ma anche soldati feriti, reduci della prima guerra mondiale – le valse il titolo di “Angelo di carità”.

Un medico, che lavorava con la Santa nel reparto dei bambini difterici a Treviso, ci ha lasciato questa bella testimonianza, una delle tante, perché se ne potrebbero addurre molte altre: “Un giorno si presentò un caso gravissimo: un bambino asfittico., io ero appena laureato. Ci trovammo Suor Bertilla ed io di fronte ad un bambino morto… La suora mi disse: ‘EI tenta, sior dottor, de farghe la tracheotomia’. Io incoraggiato praticai rapidamente la tracheotomia. Ripeto, il bambino era come morto. Dopo mez-z’ora di respirazione artificiale, il bambino rinvenne e più tardi guarì. Suor Bertilla, dopo quell’operazione, cadde a terra quasi svenuta, per l’eccesso di tensio-ne nervosa che quel caso le aveva procurato”. Trasferita al sanatorio di Viggiù (VA), dove alla fine della prima guer-ra mondiale, nel 1918, erano stati ricoverati i soldati tubercolotici, la Santa, sofferente per un tumore, che la condurrà alla morte, diede esempi di carità eroica. L’ An-gelo custode, non solo l’aiutava, ma, com’ella stessa scrisse, “lasciava il Cielo e sempre le stava assieme per aiutarla”: è davvero questa l’impres-sione che si ha, leggendo le caritatevoli prestazioni di S. Maria Bertilla verso i soldati ammalati: esse hanno del prodigioso. Un testimone racconta: “ella, che potendo tro-vare del balsamo per un malato, sarebbe andata sul fuoco, non si dava pace, e non si sa quante volte in un giorno scendeva e risaliva la lunga scala di cento gradini per recarsi in cucina a prendere or questo or quello… Ricordo un episodio: la grippe, o spagnola, aveva toccato il nostro ospedale. La febbre di cui quasi tutti eravamo affetti, saliva a proporzioni spaventose. Si dormiva con le finestre aperte per disposizioni sanatoriali ed a temperare il freddo della notte ci era concesso l’uso della borsa d’acqua calda. Una tarda sera d’ottobre, per un guasto alla cal-daia della cucina, mancò il piccolo riscaldamento. Non so dire il pandemonio avvenuto in quell’ora! A stento il vice-direttore tentò di sedare il tumulto, cercando di convincere i soldati ammalati con opportuni ragionamenti… Ma quale meraviglia! Nella notte una piccola suora passava a tutti sotto le coltri la borsa d’ acqua calda! Aveva avuto la pazienza di scaldarla in piccole pentole ad un fuoco improvvisato in mezzo al cortile… e soddisfare così l’esigenza di ognuno. AI mattino seguente parlavano tutti di quella suora, Suor Bertilla, che aveva ripreso il suo ufficio senza avere riposato, con la tranquilla serenità di un Angelo, sfuggendo alla lode di molti”. Anche in questa circostanza, come in tante altre, la Santa era rimasta fedele al suo proposito-preghiera, formulato al tempo del noviziato: “Gesù mio, fatemi morire piuttosto che abbia a fare una sola azione per essere veduta”. Aveva imparato bene ad imitare gli Angeli che – come suole dirsi – “fanno del bene senza farsi sentire”.

Tutti i testimoni sono concordi nel descrivere S. Maria Bertilla “sempre sorridente” e qualcuno giunge a dire che aveva “un sorriso d’Angelo”.

Il suo celeste Guardiano la confortava, ora tramite la cordiale riconoscenza di quanti erano oggetto della sua premurosa carità, ora direttamente infondendole pace e serenità nel cuore in mezzo alle sue dolorose prove morali e fisiche.

Dopo l’ultimo intervento chirurgico, pochi giorni prima di morire, la nostra Santa, sorridendo ripeterà più volte: “Sono contenta… Sono contenta, perché faccio la volontà di Dio”.

Una consorella che l’assistette sul letto di morte ricorderà: “Spesso invocava l’Angelo Custode; e ad un certo punto, in cui, fattasi più bella e gioconda nel volto, le fu chiesto che cosa vedesse: ‘Vedo il mio Angioletto – rispose – oh, sapesse quanto è bello!”.

Cari amici degli Angeli, vogliamo ora fare una sincera verifica interiore, per scoprire l’influsso della nostra devozione all’Arcange-lo Michele o all’Angelo Custode nella nostra vita? Se costatiamo un progresso nel nostro cammino di perfezione cristiana, nella pratica delle virtù, ringraziamone di vero cuore i nostri Amici del Cielo, che ci ispirano, ci sostengono, ci aiutano, ci confortano, ci stanno sempre accanto. Se invece notiamo in noi una stasi od un regresso spirituale, attribuiamolo alla nostra scarsa corrisponden-za alle mozioni angeliche, e mettiamoci subito coraggiosamente all’opera per un sicuro ricupero.

Buon lavoro!

Diario spirituale della Beata Maria Bertilla” a cura del Padre Gabriele di S. M. Maddalena, O.C.D., Istituto Farina, Vicenza 1952, p. 58.

IL RITORNO DI CRISTO, IL GIUDIZIO UNIVERSALE E L’ARCANGELO MICHELE
La glorificazione di Gesù Cristo ha annullato il po-tere del Maligno sugli uomini e ha dato inizio al Regno di Dio. Per l’intervento del Figlio, è stato sconfitto “il principe di questo mondo”, Satana, colui il quale nuo-ce agli uomini accusandoli incessantemente davanti all’Altissimo per poterli ten-tare, sedurre con le sue men-zogne e farli condannare poi nel giudizio finale.

Dio, però, Amore e Mi-sericordia, se “permette” una ferita, dona anche l’unguento per poterla guarire, ossia, se talvolta mette alla prova la nostra fede di cristiani, con-cede in abbondanza la forza necessaria per superare le difficoltà e ci affida alla solle-citudine dei suoi angeli affin-ché, come lo stesso Signore ci ha assicurato, le porte degli inferi non prevalgano (cfr. Mt 16,18).

Michele, questo straordi-nario Campione di Dio, è l’angelo che viene invocato dalla Chiesa e dal popolo come speciale custode, per-ché in ogni momento della vita, individuale e collettiva, protegga le anime dalle false pretese del diavolo, massimamente nell’ora del supremo, decisivo combattimento, quello della morte, e le con-duca in Paradiso (nel Vangelo apocrifo di Nicodemo, l’Arcan-gelo figura come (Praepositus Paradisi), infine, le giudichi con la sua giusta bilancia non lascian-dole nelle mani ed in balia del demonio, il quale non ha titoli per giudicarle e, malvagio e bugiardo, le giudicherebbe male.

Bisogna prestare attenzione, però, e sapere che il giudizio che seguirà alla fine del mondo avrà come solo giudice lo stesso Cristo, il quale “verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue opere” (Mt 16, 17), cioè farà giustizia, poiché in quel giorno”gli uomini renderanno conto d’ogni parola vana che han proferito” e “tu sarai giusti-ficato dalle tue parole e dalle tue parole sarai condannato” (Mt 12, 36-37). Il Padre, in-fatti, ha dato ogni giudizio al Figlio, “Dio giudicherà per mezzo di Gesù Cristo le azioni segrete degli uomini” (Rm 1, 6).

“Secondo le sue opere”, il che fa presupporre una va-lutazione, un pesare i meriti e i demeriti, i vizi e le virtù di ciascuna anima secondo l’idea morale di bene e di male.

Ma il compito di pesare le anime, il popolo non osò affidarlo alla stessa divinità, poiché appariva limitante, indegno della sua sublimità, perciò parve naturale com-mettere questa missione ad uno dei più eccelsi ministri di Dio, il capo della Milizia celeste, Michele.

In questa circostanza, prescindiamo dalla visione pagana di tale compito, da raffronti e derivazioni, non c’interessano. Osserviamo solo che certamente non a caso la scelta è caduta su tale Arcangelo: egli nella Sacra Scrittura è indicato come l’ir-riducibile eterno avversario di Lucifero, di quel superbo angelo ribelle e prevaricatore dei diritti inalienabili di Dio, contro il quale combatte al grido Mi-ka El, “Chi come Dio?”; e “il Serpente anti-co, colui che chiamiamo Diavolo e Satana e che seduce il mondo intero, fu precipitato sulla terra, e i suoi angeli furono precipitati con lui” (Ap 12, 9).

Dopo la caduta, Satana cerca la rivincita e, intensificando la sua pressione seduttrice sugli uomini, eredi in Cristo del Pa-radiso, “come leone ruggente va in giro cercando chi divorare” (1 Pt S, 8).

In ogni momen-to di vita, dunque, e specialmente in punto di morte invo-chiamo la misericor-dia di Cristo perché invii in nostro aiuto l’arcangelo Michele, affinché ci sostenga nella lotta e accom-pagni in Cielo la no-stra anima davanti al suo trono.

Dio con la bilancia di giustizia “cono-scerà la mia integri-tà” Q1-6). Nel con-vito di Baldassarre, Daniele così spiega una delle tre parole misteriose scritte sull’intonaco “da una mano d’uomo”, tecel: “Sei stato pesato alla bilancia e sei stato trovato troppo leggero” (Dan 5, 27).

Ebbene, la lotta tra gli spiriti delle tenebre e l’arcangelo Mi-chele si rinnova senza tregua ed è attuale anche oggi: Satana è quanto mai tuttora vivo ed ope-rante nel mondo. Infatti, il male che ci circonda, il disordine mo-rale che si riscontra nella società, guerre fratricide, odio tra popoli, distruzioni, persecuzioni ed ucci-sioni di bambini innocenti, non sono forse l’effetto dell’azione devastatrice ed oscura di Satana, di questo perturbatore dell’equi-librio morale dell’uomo che S. Paolo non esita a chiamare “il dio di questo mondo”? (2Cor 4,4).

Sembrerebbe, pertanto, che l’antico seduttore stia vincendo il primo giro. Egli, tuttavia, non può ostacolare l’edificazione del Regno di Dio. Con la venuta di Cristo Redentore, i popoli sono sottratti al fascino mortifero del Diavolo. Col Santo Battesimo, l’uomo muore al peccato e risorge a nuova vita.

I fedeli che vivono e muoiono in Cristo godono la felicità eterna già prima dell’annunziato Suo ritorno come giudice (parusia); dopo la loro morte corporale è la prima resurrezione, la cui natura e finalità è in stretta relazione al privilegio di “regnare con Cristo”: “Scrivi: Beati fin d’ora quei morti che muoiono nel Signore” (Ap 14, 13). I martiri e i santi, infatti, sono ormai partecipi del Regno Celeste e sono esenti dalla “se-conda morte”, quella che avverrà alla fine del mondo col giudizio definitivo ed inappellabile di Cristo (vedi la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro, Lc 16,18 31).

La morte, quindi, quella corpo-rale, quando ci coglie nel peccato, si configura per l’anima come la “prima morte”. La “seconda mor-te” è quella senza più possibilità di resurrezione, la dannazione eterna, senza scampo, che avverrà alla fine dei tempi stabiliti da Dio. Allora davanti al trono di Cristo saranno radunate tutte le genti, i morti risorgeranno e “quelli che hanno operato il bene, risuscite-ranno alla vita (seconda resurre-zione: i corpi si riuniranno alle anime), quelli invece che fecero il male, risusciteranno per la con-danna” (Gv 5, 4), e sarà la “morte seconda”, quella eterna. Michele, l’angelo della Giusti-zia divina, già vincitore, col po-tere che gli viene da Dio, legherà con catene e scaraventerà Satana questa volta dalla terra nelle tene-bre dell’abisso che chiuderà sopra di lui, “affinché non inganni più le genti”, poi consegnerà le chiavi a Cristo Trionfante che concluderà la vicenda storico-etica dell’uma-nità: aprirà le porte della nuova Gerusalemme.

Questi temi divennero sin dal-l’alto Medioevo popolari nella letteratura, nella devozione e nel-l’arte. L’arcangelo Michele, sem-pre vigilante contro il Maligno, è raffigurato in genere con la spada o la lancia in atto di calpestare il dragone-mostro, Satana, ormai sconfitto. Molti artisti, spesso nell’insieme del Giudizio univer-sale, hanno figurato l’Arcangelo anche come pesatore delle anime in diversi modi: a volte l’anima è posta in ginocchio nel piatto della bilancia, mentre nell’altro vi sono i titoli di credito, libri di debiti, piccoli diavoli che rappresenta-no i peccati; altre raffigurazioni, più movimentate ed eloquenti, descrivono il tentativo da parte dei diavoli di rubare sul peso ap-pendendosi al piatto delle prove a carico.

Interessante anche storicamen-te è il bassorilievo che adorna la tomba dell’imperatore Enrico II (973 – 1002) eseguito da Ti-manu Riemenschueider (1513) nel duomo di Bamberg. Questo santo imperatore aveva donato al Santuario garganico un calice, attualmente nel Museo di Bam-berg: S. Lorenzo depone nella bilancia del divino Pesatore il calice, facendo così pendere il piatto dalla parte contenente i bona quae fecit, mentre si notano alcuni diavoletti che si affannano sospesi al piatto.

Il Giudizio universale è stato il tema su cui si sono cimentati grandi e piccoli artisti, da Giotto ai meno noti Rinaldo da Taranto e Giovanni Baronzio da Rimini (sec. XIV), dal Beato Angelico (1387-1455) al grande Miche-langelo, ai fiamminghi Vari der Weyden e Memling. Non possia-mo concludere questa noterella senza prima citare il magnifico mosaico realizzato, nel 1999, nella seconda cappella privata del papa, a pochi passi e dalla Sistina, quella che porta il nome “Redemptoris Mater”.

L’opera è stata eseguita da Tomas Spidlik, moravo, con la collaborazione di Marko Ivan Rupnik, sloveno di Zadlog, del russo Alexander Komoukhov e del mosaicista italiano Rino Pastorutti su commissione di Giovanni Palo II. La magnifica, strabiliante composizione narra scene di salvezza tratte dal Nuovo Testamento in una visione teo-logica pura, rarefatta. E’, però, sulla parete d’ingresso che balza agli occhi, stupenda, la visione apocalittica degli ultimi tempi: il Cristo giudice, le schiere dei martiri con i loro nomi scritti nella lingua di ciascuno, cattolici e d’altre confessioni, come la lute-rana Elizabeth von Tadden, ucci-sa dai nazisti, o l’ortodossa Pavel Florenskij, vittima dei sovietici. I risorti anonimi tutti segnati dal “tau” della salvezza…

E poi il giudizio finale: l’arcan-gelo Michele appoggia la mano sulla bilancia per dare più peso alle opere buone, mentre nella macchia rossa dell’abisso precipi-ta solo un demone nero. Là dove è raffigurata una terra piena di sole, sono ritratti il bambino che gioca a palla, il pittore con la ta-volozza, il tecnico col computer e, in un angolo, vi è Giovanni Paolo II con la sua chieset-ta in mano, quale committente.

Per il suo 50° di sacerdozio, papa Wojtyla aveva ri-cevuto in dono dai cardinali una somma di dena-ro che pensò di devolvere al rifa-cimento integra-le della cappella, volendo attuare l’idea di creare in Vaticano un momento d’arte e di fede che fosse simbolo dell’unio-ne tra Oriente e Occidente. Un sogno accarezzato e perseguito con calore e tenacia: uno dei tanti aspetti che hanno caratterizzato il suo pontificato e la sua indimen-ticabile, grande figura di Pastore della Chiesa universale che, sia-mo certi, scortato dall’arcangelo Michele ed accolto in Paradiso dall’amata Madre di Dio, sempre invocata (“Totus Tuus”), riceve ora il premio dell’eterna consola-zione nella beata contemplazione della SS Trinità.

fonte: http://www.preghiereagesuemaria.it/