Settimana Santa: meditazione del Martedì Santo

Allora uno dei dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai gran sacerdoti, e disse loro: “Quanto mi date, se io ve lo consegnerò?”. E fissarono trenta monete d’argento. (Mt 26, 14-15)

Sui primi giorni della grande settimana, come sul cuore di Gesù, pesa l’ombra di Giuda. Costa il parlarne, come costa il tacerne. Si vorrebbe che facessero presto (“Ciò che vuoi fare, fallo presto”), mentre il tradimento – il baratto è un attimo: una promessa e una borsa che si scambiano – viene consumato lentamente. Credo che la disperazione si prepari in questa lentezza, che finisce per corrodere le più ferrigne resistenze. Anche Giuda ha voluto bene, anche Giuda deve avere un giorno creduto al Maestro. Ma Giuda è un uomo, e il suo cuore d’uomo, che un giorno amava e credeva, deve aver ceduto sotto il peso di un “negozio”, che gli doveva apparire sempre più cattivo, man mano gli avvenimenti, cui aveva dato l’abbrivio col suo tradimento, procedevano verso la loro fatale conclusione. Invece di godere di vederlo perduto (a differenza degli altri discepoli, Giuda segue da vicino il Maestro), egli si sente perdere nel successo dell’impresa da lui stesso avviata. Non sempre ciò che abbiamo voluto (chi sa perché vogliamo certe cose?) ci porta soddisfazione. Vi sono vittorie che ci affliggono paurosamente. Le conclusioni del peccato sono inguaribili e, se la misericordia non ci soccorre, nessun occhio ne sopporta l’aspetto. Giuda osa guardare. Pilato ricompare nel Pretorio e dice :”Ecco l’Uomo”. I soldati spingono avanti un cencio rosso. Pilato, con un sorriso di disgusto, soggiunge :”Ecco il vostro Re”. L’ha travestito da re, con corona di spine in testa e scettro di canna in mano. Il sangue gira le occhiaie e cola sulle guance. La bocca si apre appena sull’anelito. Gli occhi guardano Giuda, lui solo, con pietà infinita. L’angoscia scende nel petto di Giuda. Un sospiro gli si forma dentro :”O Maestro, o
Signore, o Amico”. Ma la voce non esce. Giuda non piange, non grida, non fugge. L’unico gesto che gli riesce, eccolo :”Riporta i trenta sicli d’argento ai capi sacerdoti ed agli anziani :<>. Ma essi dissero :<>”. Che poteva fare? La sua testimonianza all’Innocente quale eco avrebbe trovato? I capi sacerdoti erano più duri delle pietre del Golgota. La folla gridava sempre più forte:”Crocifiggilo!”. Non c’era che il rifugio delle braccia che stavano per essere inchiodate: ma egli non aveva più fede per lasciarsi riabbracciare da quella divina amicizia che attende i rinnegatori e i traditori di tutte le fedi. Chi ha fede può essere momentaneamente travolto dal male, ma non è perduto. Giuda è tanto intelligente da capire che il denaro dell’Innocente non gli può servire, ma non ha più un bacio con cui rispondere al Maestro, che ripete dolcemente, instancabilmente, anche nell’agonia della croce, la parola :”Amico”. Un bacio l’avrebbe salvato. Ma com’è difficile restituirci il cuore, quando il cuore ha servito per il baratto! Tutto ciò che vi è di più caro e di più santo, di più adorabile e di più amabile, viene spento da questa fangosità che bacia senza amore e applaude senza convinzione. La fede, l’amicizia, la patria possono essere tradite da questa gente “esperta”, che mercanteggia su tutto e di tutto fa denaro, e che crede di potersi salvare dalla disperazione costruendosi intorno una cintura blindata di biglietti di banca. Gli “inesperti”, gli “imprevidenti”, non fabbricano casseforti, non speculano su nulla, non creano nuove economie, ma non tradiscono nessun sangue, non si sottraggono a nessun impegno, non avviano il figlio dell’uomo sui calvari della storia, nè si trovano con la corda al collo, legata al fico maledetto, sul ramo teso sopra il precipizio. (