Devozioni e preghiera: pensare spesso a Dio è utilissimo


Non ci può essere stato di preghiera senza rinuncia abituale di sè
Finora siamo giunti a queste conclusioni: non si può pensare sempre a Dio, il che non è peraltro necessario. Si può essere costantemente uniti a Dio anche senza pensare costantemente a Lui: la sola unione veramente richiesta è quella della nostra volontà con la volontà di Dio.
Qual è allora l’utilità, così lodata da tutti i maestri di spiritualità, dell’esercizio della presenza di Dio?
È ciò che cercheremo di spiegare
Dicevamo che in tutte le nostre azioni dobbiamo avere una totale purezza d’intenzione e dare al nostro dovere di stato, generosamente osservato, il massimo orientamento soprannaturale. In tal modo la nostra vita, anche al di fuori dei momenti dedicati alla preghiera, sarà una vita d’orazione.
Si comprende che, per agire così in maniera costante e con un’assoluta purezza d’intenzione, per renderci sufficientemente liberi dal capriccio e dall’affanno nell’operare, per rimanere padroni di noi stessi -o piuttosto perché Dio sia l’unico padrone e le nostre azioni siano in tutto sotto l’influenza dello Spirito Santo- deve essere di grande aiuto l’abitudine di rivolgere uno sguardo a Dio prima di cominciare un’azione o di prendere una decisione.
Nel Vangelo vediamo sempre che nostro Signore, quando si accinge a compiere atti importanti, si arresta un attimo, alza gli occhi al Padre, e solo dopo qualche istante di raccoglimento intraprende l’opera voluta. Et elevatis oculis in caelum: è un’espressione che si ritrova con eloquente frequenza. E anche quando non manifesta il gesto all’esterno, nel suo animo è certamente presente.
L’ideale è lo stesso anche per noi. Questa dipendenza speciale e costante dell’anima dallo Spirito Santo, si trova particolarmente agevolata dal fatto che lo Spirito Santo, collocato al posto d’onore nell’anima, è invitato a prendere esplicitamente e ufficialmente la direzione di tutte le nostre determinazioni. È impossibile praticare perfettamente la rinuncia a se stessi senza un profondo spirito di raccoglimento; non ci si può sottomettere radicalmente all’Ospite invisibile dell’anima se non ci si mantiene con Lui in una perfetta intimità. Lo spirito di morte, cioè il rinnegamento di se stessi, non può regnare se non quando lo spirito di vita si è insediato vittorioso sulle rovine, e «vola sulle acque» come all’inizio della creazione.
Non consente certo di cacciare i mercanti dal tempio chi non si sforza di diventare un «Sancta Sanctorum», cioè non una casa di traffico, ma una vera dimora vivente di Dio.
Si traggono così due luminose conclusioni:
– non si può dipendere in maniera assoluta dallo Spirito Santo -cioè vivere veramente «in Cristo»- senza totale rinuncia a se stessi;
– non c’è totale rinuncia senza un costante spirito di fede, senza l’abitudine del silenzio interiore, silenzio tutto popolato di divino.
I più non vedono il legame esistente tra ricordo del Re e servizio del Re; tra silenzio interiore fatto sembra- di immobilità e continuo distacco da tutto, che e suprema attività.
Basta osservare attentamente. Il legame esiste, stretto, forte, infrangibile. Cercate un’anima raccolta, sarà anche distaccata dalle cose terrene; un’anima distaccata, sarà anche raccolta. Sarà facile costatarlo nella misura in cui sarà facile trovare l’una o l’altra di queste due anime. Trovare l’una o l’altra significa aver trovato l’una e l’altra. Chi si è esercitato nella pratica del distacco o del raccoglimento, sa di aver fatto una doppia conquista con una sola azione.
Non ci può essere rinuncia abituale di sè senza costante raccoglimento
Se un’anima, per essere pienamente «Cristo» e pienamente cristiana, deve vivere nella totale dipendenza dallo Spirito Santo, e se si può vivere in questa dipendenza solo a condizione di vivere raccolti, va da sè che il raccoglimento -inteso come abbiamo spiegato- costituisce una delle più preziose virtù che si possano acquistare.
Padre Pergmayr, uno degli autori che meglio ha parlato, in modo conciso ed essenziale, del raccoglimento, non esita ad affermare: «La via più breve all’amore perfetto consiste nell’avere Dio continuamente presente: ciò fa evitare ogni peccato e non lascia tempo di pensare ad altre cose, di lamentarsi o mormorare. La presenza di Dio, presto o tardi, conduce alla perfezione».
Non cercare di vivere nel silenzio interiore, vuole dire rinunciare a vivere profondamente da cristiano. La vita cristiana è vita di fede, vita nell’invisibile e per l’invisibile… Chi non ha frequenti rapporti con questo mondo che sfugge ai sensi esterni, rischia di restare sempre sulla soglia della vera vita cristiana.
«Sì, bisogna smetterla di abitare solo l’esterno e gli strati più superficiali della nostra anima; bisogna entrare e penetrare nei più profondi anfratti, dove ci troveremo finalmente nel più intimo di noi stessi. Qui giunti, dobbiamo procedere oltre ed andare fino al centro! che non è più in noi, ma è in Dio. Là c’è il Maestro, che talvolta ci potrà concedere di abitare con Lui anche un giorno intero.
«Quando ci avrà permesso, per una volta, di trascorrere un giorno con Lui, lo vorremo seguire sempre e ovunque, come suoi apostoli, suoi discepoli e suoi servitori.
«Si, o Signore, quando potrò stare un giorno intero con Te, vorrò seguirti sempre» (1).
La solitudine è la patria dei forti. La fortezza è una virtù attiva e il silenzio che sapremo praticare indicherà il valore delle nostre opere (2). Il rumore è la patria dei deboli. La maggior parte degli uomini cerca il divertimento e le distrazioni unicamente per dispensarsi dall’agire come dovrebbe. Ci si perde nel nulla per non perdersi nel tutto. Il Dio dei forti è venuto al mondo nel silenzio della notte (3). Vittime delle apparenze, noi apprezziamo solo ciò che fa rumore. Il silenzio è il padre dell’azione efficace. Prima di zampillare cantando, il filo d’acqua sorgente si è aperto il varco forando silenziosamente il duro granito.
È chiaro che quando raccomandiamo così il silenzio, intendiamo il silenzio interiore; é questo che dobbiamo imporre alla nostra immaginazione e ai nostri sensi, per non venire ad ogni istante, nostro malgrado, proiettati al di fuori di noi stessi.
Se si lascia continuamente il forno aperto -per usare una espressione di santa Teresa- il calore si disperde. Occorre parecchio tempo per riscaldare l’atmosfera, ma basta un istante perché tutto il tepore se ne vada; una fessura nella parete, e penetra l’aria fredda: tutto e da rifare, tutto da riconquistare.
Eccellente protezione del silenzio interiore e il silenzio esteriore; e la ragione delle grate e dei chiostri. Ma anche in mezzo al rumore, ciascuno può costruire attorno a sè una zona di deserto, un’aureola di solitudine che non lascia trapelare nulla indebitamente.
L’inconveniente non è il rumore, ma il rumore inutile; non sono le conversazioni, ma le conversazioni inutili; non le occupazioni, ma le occupazioni inutili. In altri termini: tutto ciò che non serve, nuoce in modo deplorevole. Dare all’inutile ciò che si potrebbe offrire all’Essenziale è un tradimento e un controsenso!
Ci si può allontanare da Dio in due modi differenti, ma entrambi disastrosi: il peccato mortale e la distrazione. Il peccato mortale rompe oggettivamente la nostra unione con Dio; la distrazione volontaria la rompe soggettivamente o ne diminuisce l’intensità che potrebbe avere. Bisognerebbe
parlare solo quando lo stare zitti fosse cosa peggiore. Il Vangelo dice che dovremo render conto non solo delle parole cattive, ma anche di ogni parola oziosa.
Dobbiamo mettere sapientemente a profitto la nostra vita, e quindi sopprimere tutto ciò che ne diminuisce i buoni frutti; specialmente nella vita spirituale, che è la più importante.
Quando si pensa all’interesse che prova la maggior parte delle persone per le cose di nessun valore, per i rumori della strada, l’agitarsi di un burattino o le sciocchezze stampate su tanti quotidiani, sembra proprio di sognare! Quale felicità si avrebbe d’un tratto nel mondo se, per un caso insperato, scomparissero in un baleno tutti i rumori inutili! Se tacessero anche solo quelli che parlano per non dir nulla. Che liberazione, sarebbe il paradiso! I chiostri sono oasi di pace perché vi si insegna il silenzio. Non sempre ci si riesce; ma almeno si insegna, ed è gia tanto. Altrove non si tenta neppure. Non che il parlare non sia una grande arte e la conversazione un prezioso sollievo, anzi, forse il più prezioso dell’esistenza; ma non bisogna confondere l’uso con l’abuso. Per festeggiare l’armistizio o il milite ignoto, alcuni hanno richiesto qualche minuto di silenzio: questo silenzio era conseguente alla vittoria. Se il mondo imparasse a tacere, quante vittorie interiori seguirebbero alla pratica del raccoglimento! Chi custodisce la propria lingua, dice san Giacomo, è una specie di santo (4). Vi sono poche anime perfette perché poche anime amano il silenzio. Silenzio significa perfezione; non sempre, ma spesso. Provate, ne vale la pena; sarete sbalorditi dal risultato.